ò In Israele
ò Nella Chiesa
ò Le tre raccolte
La chiusura del Canone
ò La lingua
ò I testi
La LXX
ñ Canone cristiano dell’Antico Testamento
ò La Volgata
ñ La formazione del Canone del Nuovo Testamento
ò I primi secoli
ò Il testo
ò Le prime definizioni
ò Il Concilio di Trento
Le conseguenze
ò Il Concilio Vaticano II
Per poter parlare
di canone biblico occorre stabilire quanti e quali siano in concreto i libri
ispirati. Si cercherà di mostrare come i libri ispirati furono uniti nel tempo
insieme, formando la collezione chiamata Canone biblico. Esamineremo, nelle
linee generali, questo lento processo, dopo aver premesso alcune necessarie
nozioni.
Il criterio della
canonicità è il medesimo dell’ispirazione, con la sola differenza che, mentre
il criterio per l’ispirazione è applicato a tutti i libri sacri in generale, il
criterio per la canonicità è applicato a ciascun libro in particolare. Tale
criterio è la Tradizione apostolica della Chiesa. Questa Tradizione si
manifestò fin dagli inizi della comunità cristiana, attraverso forme concrete:
testimonianze dei Padri e degli scrittori ecclesiastici, citazioni di brani
dell’AT e NT attribuiti a Dio, decisioni sinodali, lettura liturgica.
Il termine canone
biblico designa fina dal sec III i cataloghi ufficiali dei libri ispirati, i
quali costituiscono, insieme con la Tradizione, la regola della fede. Dal
termine canone si forma l’aggettivo canonico, nel senso d’appartenente al
canone, e il verbo canonizzare (ammettere nel canone). In epoca più recente è
stato formato il termine astratto di canonicità per indicare l’appartenenza di
un libro al catalogo dei testi ispirati.
Sebbene esista uno
stretto legame fra il termine canonico ed ispirato, essi corrispondono
formalmente a due aspetti diversi. Coincidono nella verità di fede che tutti i
libri canonici sono ispirati. Differiscono nel concetto ontologico:
l’ispirazione fa riferimento all’origine divina dei libri sacri; la canonicità,
al loro riconoscimento da parte della Chiesa. La canonicità dunque presuppone
l’ispirazione: un libro è canonico poiché ispirato, non viceversa.
La Bibbia è il
testo contenente la rivelazione che Dio fa di se stesso, i suoi interventi
capaci di fare della storia umana una storia della salvezza, garantendo agli
uomini, protagonisti e destinatari del messaggio, la verità in quanto contiene
e comunica.
Il termine Bibbia
è un vocabolo d’origine greca (βιβλία = libro),
usato in italiano nella sua forma plurale per indicare i libri che la
compongono. La Bibbia si presenta al lettore come una gran biblioteca. Per gli
ebrei e i cristiani la Bibbia è molto più di un documento ricco di
storia, di cultura e di religiosità. E' la parola della nostra
salvezza, capace di convertirci e trasformarci.
Fin
dall’inizio, i libri ispirati ricevettero l’approvazione apostolica, nel fare
ciò la Chiesa fu guidata con infallibilità dallo Spirito Santo il quale, dopo
aver ispirato gli apostoli nel proclamare autenticamente la Rivelazione, la ha
assistita lungo i secoli per conservare, custodire e proclamare il deposito
della Rivelazione. Il rapporto tra Scrittura e Tradizione è il nesso di
fondamento al criterio di canonicità nella teologia cattolica.
In Israele
Per
quanto riguarda la Tradizione in Israele, ad un’uniformità si arrivò soltanto
dopo il 70 d C, quando distrutta Gerusalemme, i farisei divennero i dirigenti
indiscussi della comunità ebraica, imponendo le loro credenze religiose.
Anteriormente la questione era molto discussa, non esisteva un magistero dogmatico
unificante. Riguardo al canone, risulta evidente la mancanza d’unità.
La
discussione riguardava i libri da considerare fondamentali e quelli accessori,
in un dibattito sempre più crescente tra la comunità della Palestina e quelle
della diaspora. Probabilmente la comunità ebraica d’Alessandria attribuiva ai
deuterocanonici (1) un’autorità normativa uguale ai libri protocanonici.
Difatti, non sembra si possa dare altra spiegazione all’inserimento nella
versione greca della LXX dei deuterocanonici, lasciando da parte molti altri
libri circolanti negli ambienti giudeo-ellenistici, fra i quali molti apocrifi
veterotestamentari, non come gruppo separato, nella forma d’appendice o di
raccolta marginale, ma nello stesso corpo della versione, attribuendo loro
l’identico valore.
Forse
in Palestina, alcuni gruppi religiosi, accettavano i deuterocanonici. Infatti,
tra le comunità di Gerusalemme e d’Alessandria ci furono sempre buone
relazioni, e non risulta ci fossero state dispute riguardo al canone biblico.
Da
diversi dati si può dedurre come all’inizio dell’era cristiana i libri
deuterocanonici godevano di stima fra gli ebrei della Palestina. Il Siracide fu
considerato come scrittura sacra fino al sec. X; 1Mac, Baruc, Tobia e Giuditta
erano letti pubblicamente nelle sinagoghe; anche l’ispirazione del libro della
Sapienza fu in discussione fino al sec VI.
Da
quanto detto sembra si possa formulare la seguente teoria. Fino l’anno 70 d C,
nel giudaismo non c’era un’unica opinione sui libri da considerarsi sacri ed ispirati.
La religione era centrata sul Tempio, e non si era trasformata, come
posteriormente, in una religione del libro. Dopo la distruzione di Gerusalemme
e del Tempio, e la fine del sacerdozio levitino, la situazione cambiò
profondamente. I farisei raggiunsero un’egemonia spirituale assoluta. Seguendo
la tradizione dei padri, vollero assicurare la vita religiosa della nazione,
stabilendo le basi ferme del giudaismo. Sottomisero i libri ad uno scrupoloso
esame, sia per definire il testo valido sia per delimitare l’estensione del
canone.
Nella
storia della Chiesa l’agire divino degli agiografi, è stato sempre compreso
come un dono, capace di perfezionare le capacità umane affinché divengano
fedeli collaboratrici del volere divino. L’agire di Dio nell’uomo è stato
descritto dalla teologia e il Magistero lo ha sottolineato, in particolare in
due importanti passi: uno nella Providentisimus Deus "Dio stesso così
li stimolò e li mosse a scrivere con la sua virtù soprannaturale, così li
assisté mentre scrivevano, di modo che tutte quelle cose e quelle sole che Egli
voleva le concepissero rettamente con la mente, e avessero la volontà di
scriverle fedelmente e le esprimessero in maniera atta con infallibile verità:
diversamente non sarebbe Egli stesso l’autore di tutta la Sacra Scrittura"
(EB125 DS3293); l’altro nella Spiritus Paraclitus "Dio con un dono
della sua grazia illumina lo spirito dello scrittore riguardo alla verità che
questo deve trasmettere agli uomini per ordine divino. Egli suscita in lui la
volontà e lo costringere a scrivere; gli conferisce un’assistenza speciale fino
al compimento del libro" (EB448 DS3651).
Nella
Dei Verbum [di seguito DV] la dottrina è riassunta con le parole: "Per
la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso
delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo Egli in essi e per loro mezzo,
scrivessero come veri autori, tutte soltanto quelle cose che egli voleva
fossero scritte" (DV11). Questa formula indica come le facoltà e le
forze dell’agiografo intervennero nella composizione dei libri sacri, poiché
adoperate da Dio.
La
DV contiene anche un’esplicita affermazione sul criterio di canonicità della
Bibbia: "È questa tradizione che fa conoscere alla Chiesa
l’intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più profondamente comprendere
e rendere interrottamente operanti le stesse sacre Scritture" (DV8).
Questo testo asserisce un dato di fatto, verificabile nella storia della
formazione del canone della sacra Scrittura, e un dato di fede: sottolinea
l’importanza primaria e insostituibile della Tradizione apostolica nella
determinazione del canone biblico. L’affermazione fatta dalla DV ribadisce che
l’elenco completo dei libri, come lo troviamo dai concili africani d’Ippona e
Cartagine in poi, è stato trasmesso dagli apostoli, consentendo alla Chiesa di
fissare con certezza i libri ispirati e di proclamare il canone come vero dogma
di fede.
La
Chiesa ha ricevuto il canone biblico dell’AT attraverso Gesù e gli apostoli,
questi approvavano, almeno implicitamente, e trasmisero l’insieme dei libri
ritenuti sacri dalla tradizione ebraica. Nonostante ciò, la lista canonica
sancita nel Concilio di Trento, corrispondente all’antica edizione latina
Volgata e alla versione greca dei LXX (sec III/II a C), non coincide con il
canone ebraico per quanto si riferisce ai deuterocanonici. Il motivo di questa
differenza è ancora un problema aperto. Per spiegare questa differenza e come
si è costituito il canone accettato dalla Chiesa cercherò di esporre come si
formò il canone dell’AT fra gli ebrei.
Serve
ricercare come si formò il canone dei protocanonici presso gli Ebrei e cosa
pensassero dei deuterocanonici. Non c’è dubbio sul pensiero dei giudei in
favore dei protocanonici, rimane incerto quale fossero le diverse opinioni
riguardo ai deuterocanonici.
Secondo
l’uso corrente i protocanonici dell’AT sono 39. Antichi documenti giudaici
(l’apocrifi IV Esdra, il Talmud babilonese, con altri scritti rabbinici) e due
scrittori ecclesiastici (S.Gerolamo, S.Ilario di Poitiers) ne contano solo 24;
questa cifra è una riduzione ottenuta mediante raggruppamenti di libri simili tra
loro e sostanzialmente corrispondente alla cifra precedente.
Causa
il numero esiguo di documenti, è impossibile tracciare una storia completa ed
esauriente del canone dei protocanonici dell’AT i pochi dati ci permettono di
stabilire soltanto le linee generali.
Le tre raccolte
Nella
Bibbia ebraica i protocanonici dell’AT sono distribuiti in tre gruppi: la
Legge, i Profeti, gli Scritti. Questa tripartizione è attestata da antichi
documenti, i quali menzionano le prime due con i loro nomi ben determinati, il
terzo con termini diversi. Queste ripartizioni dimostrano che il canone dell’AT
non si formò di getto, ma lentamente e in varie tappe.
La
canonizzazione della prima raccolta ha una propria storia, anche se nota solo
in modo approssimativo, permette di ritenere come certo il riconoscimento del
suo valore sacro e normativo; tale storia ebbe una fase decisiva, se non
finale, nel sec IV a C, per opera di Esdra (2) . L’importanza di questa prima
raccolta è tale che con il termine Legge a volte s’indicava tutto l’AT.
La
canonizzazione della seconda raccolta era già terminata nei primi anni del sec
II a C. Tale affermazione è verosimile, non è certa la conclusione prima della
terza parte non si può ricavare con certezza dalle espressioni dove la formula
Legge e Profeti equivale all’intero AT: si tratta dell’indicazione delle parti
principali per il tutto.
La
canonizzazione degli Scritti, iniziata con Ezechia, si sviluppò lentamente: non
si può stabilire quando sia giunta a compimento. Dall’aggiungere alla Legge anche
i Profeti e gli Scritti, possiamo dedurre come i giudei riconoscessero alla
seconda e alla terza raccolta lo stesso valore normativo attribuito alla Legge:
le consideravano raccolte di libri sacri.
Che
cosa pensavano gli Ebrei dell’ispirazione dei deuterocanonici è ancora molto
discusso. Le opinioni sono tre:
a.
il
canone giudaico sarebbe stato unico per tutti gli Ebrei, sia della diaspora sia
della Palestina, e breve, cioè senza i deuterocanonici;
b.
secondo
altri il canone giudaico sarebbe stato unico per tutti e lungo, con i
deuterocanonici, solo in un secondo tempo gli Ebrei palestinesi, rappresentati
dai farisei, avrebbero escluso i deuterocanonici, ritenuti canonici dagli Ebrei
alessandrini e della diaspora;
c.
infine
il canone giudaico sarebbe stato duplice: breve per i palestinesi, lungo per
gli alessandrini; però gli stessi palestinesi avrebbero avuto una stima
particolare almeno verso alcuni deuterocanonici.
La chiusura del canone
Quando
avvenne la chiusura del canone ebraico e da chi fu operata? Questioni alle
quali, attualmente, non è possibile rispondere. Verso l’anno 130 a C, un autore
legato all’Ecclesiastico parla di una traduzione della Legge dei Profeti e
degli altri libri; verso lo stesso periodo il 1Mac parla di libri sacri, testi
che godono di una particolare venerazione presso il popolo d’Israele; il 2Mac
3,13 riferisce che tra le attività riorganizzative di Neemia vi fu anche una
biblioteca, probabilmente, comprendente anche altri testi accanto ai libri
sacri.
Alle
soglie dell’era cristiana, tra gli Ebrei vi erano ancora delle esitazioni: il
giudaismo palestinese rivela la tendenza a considerare sacri soltanto i libri
antichi, scritti soprattutto in ebraico, e non quelli scritti in greco, questa
è la tendenza, principalmente, dei farisei.
Questi
sembrano attenersi a tre criteri fondamentali di canonicità:
a.
l’antichità
del libro, per questo dovevano considerarsi ispirati soltanto i libri scritti
prima della fine dei profeti, ritenendo come ultimo Malachia (sec V);
b.
essere
scritti nella lingua sacra (ebraico o aramaico);
c.
la
conformità con i principi religiosi del fariseismo.
L’ambiente
sadduceo, e quello samaritano, considerava canonico soli il pentateuco; mentre
nella diaspora alessandrina, a Qumran , forse si riteneva non ultimata la
parola di Dio e si attendeva ancora un messaggio ispirato. Nella diaspora si
riconosce una vera autorità divina ai deuterocanonici, a Qumran, probabilmente,
si dava la stessa autorità a certi scritti della setta.
La lingua
La
lingua ebraica fa parte del ceppo semitico nord-occidentale, comprendente
l’ugaritico, il cananeo, il moabitico, il fenicio ed altre lingue.
Le
origini sia della lingua sia della scrittura ebraica sono certo anteriori al
popolo: si tratta essenzialmente della lingua parlata in Canaan (Palestina)
quando sopraggiunse il gruppo di immigrati da cui si sviluppo il popolo
ebraico. Secondo un’opinione comune il proto-ebraico, è la lingua parlata dagli
immigrati, corrispondente al cananeo centro-meridionale che la famiglia
patriarcale, e poi gli Ebrei venuti dall’Egitto, trovarono in Palestina nella
forma particolare assunta in bocca agli immigrati.
La
scrittura dell’ebraico ha avuto tre momenti principali: l’uso dell’alfabeto
fenicio, l’uso dell’alfabeto quadrato o aramaico, la puntazione masoretica. In
Palestina furono usate anche la scrittura cuneiforme e in minor misura quella
geroglifica egiziana, ma erano scritture estranee agli indigeni. Nel periodo
postesilico, gli Ebrei adottarono la scrittura quadrata, cioè i segni
alfabetici dell’aramaico, e gli antichi testi furono trasportati nel nuovo
alfabeto (3).
I testi
Gli
autografi degli scrittori sacri nessuno finora ci è giunto, il testo sacro fu
però più volte trascritto e nelle copie subì varie vicende, per chiarezza,
possiamo dividerle nei quattro seguenti periodi:
1.
dalle
origini al sec I d C, il primo periodo è caratterizzato dalla varietà del
testo: quasi tutte le alterazioni (4) da noi oggi conosciute risalgono a questa
epoca;
2.
dal
sec I d C al IV, caratteristica di questo periodo è la codificazione del testo
delle consonanti per opera degli scribi;
3.
dal
sec IV al X, in questo periodo fu fissato il testo delle vocali, per opera dei
Masoreti (5);
4.
dal
sec X in poi, dall’epoca dei Masoreti fino all’invenzione della stampa il testo
ebraico fu trascritto sempre secondo le norme della Masora [di seguito TM], con
fedeltà maggiore o minore a seconda che le copie erano destinate all’uso
pubblico, nella Sinagoga, o privato; di qui un certo numero di varianti nei
codici pervenuti fino a noi.
La
prima versione greca della Bibbia (sec III-II a C) sorse ad Alessandria
d’Egitto, destinata ai Giudei ellenisti ivi residenti, i quali generalmente non
comprendevano più l’ebraico. Iniziata verso la metà del sec III a C, terminò
sulla fine del sec II a C. La versione è detta Alessandrina dal luogo, più
comunemente dei Settanta [di seguito detta LXX] dal numero tradizionale dei
traduttori (6).
La Settanta
Fu
eseguita da più persone di ben diversa capacità. Come nel caso di libri
ispirati che, dopo la loro composizione da parte dell’agiografo hanno subito
aggiunte, sviluppi, correzioni da parte di autori secondari, così non sembra ci
sia difficoltà se ciò sia avvenuto anche nel momento stesso in cui qualche
libro biblico veniva tradotto in altra lingua, se la traduzione è anteriore
all’epoca apostolica.
In
numerosi punti la versione dei LXX presenta notevoli divergenze rispetto al
testo originale, masoretico o premasoretico; divergenze che toccano la sostanza
religiosa, anche se non la alterano, e talvolta con un netto progresso della
rivelazione. In qualche caso autori del NT citano passi dell’AT non nella forma
del testo ebraico, ma nella forma data loro dai LXX. Ciò fa pensare che gli
autori del NT ritenessero ispirati almeno quei passi nella forma propria dei
LXX. Sembra dunque si possa pensare ai LXX come ispirati, almeno in quei punti
dove costituiscono un reale progresso rispetto ai corrispondenti passi
dell’originale ebraico.
Se
poi si riflette che gli autori del NT ricorrono alla versione alessandrina in
misura pressappoco uguale che all’originale ebraico, e soprattutto che la
Chiesa dei primi secoli considerava questa versione come il suo testo ufficiale
della sacra Scrittura, sembra tale traduzione possa essere considerata, nel suo
insieme, parola divina al pari della Bibbia ebraica. Le stesse considerazioni
non possono valere per la Volgata latina, perché il tempo della rivelazione
pubblica si è chiuso con la fine dell’epoca apostolica.
éCANONE CRISTIANO DELL’ANTICO TESTAMENTO é
Il
NT parla genericamente di Scritture, nomina però anche i tre gruppi visti
precedentemente; per le prime due si serve della solita terminologia, Legge e
Profeti, per la terza si serve del termine Salmi. Non essendo suo scopo, il NT
non dà mai l’elenco dei libri dell’AT.
Nessuno
ha mai posto in dubbio che tutta la tradizione cristiana abbia ammessa la
canonicità dei libri protocanonici. La discussione si centra solo sui
deuterocanonici, intorno ai quali il pensiero della tradizione cristiana ha
avuto un periodo di unanimità (sec I-II), un periodo d’incertezza (sec III-V),
seguito dal ritorno all’unanimità (dal sec VI in poi).
Le
cause delle incertezze si possono ridurre a tre:
1.
la
polemica con gli ebrei, questi non ammettevano l’autorità dei deuterocanonici;
polemizzavano con loro, i primi apologisti cristiani si trovarono nella
necessità di tralasciarne le testimonianze;
2.
la
diffusione degli apocrifi, il timore che penetrassero nel canone libri non
corretti, aventi somiglianze con i libri canonici, contribuì a una presa di
posizione ostile ai deuterocanonici;
3.
la
mancanza di una decisione ecclesiastica chiarificatrice: le prime decisioni
sono della fine del sec IV, non ancora della Chiesa universale.
La Volgata
Col
nome Volgata s’intende oggi la traduzione latina della Bibbia attualmente in
uso nella Chiesa cattolica. A causa della frequente trascrizione e
dell’imperizia di certi correttori, numerosi errori ed aggiunte si erano
introdotte nelle antiche versioni latine, anche in quella usata dalla Chiesa di
Roma. Gli inconvenienti accorsi indussero il papa S.Damaso a ordinare un lavoro
di revisione e di correzione. Tale compito, laborioso e delicato, fu affidato a
S.Girolamo. Il lavoro iniziò nel 383 a Roma e terminò nel 405-406 a Betlemme,
fu duplice: prima di revisione poi di traduzione (7).
Una
nuova traduzione dai testi originali ebraici sarebbe stata certamente più utile
della semplice revisione, S.Girolamo vi si accinse con ardore, mettere nelle
mani dei cristiani un testo fedele all’originale, base incontrastata nelle loro
controversie con gli Ebrei, i quali rifiutavano continuamente le testimonianze
dei LXX e della Vetus Latina, non sempre conformi all’originale ebraico.
Per
una tale opera egli era maturo, possedeva le lingue bibliche, si trovava sul
luogo della storia sacra con la possibilità di perlustrarlo a suo piacere, era
a contatto con dotti rabbini da poter consultare a volontà. Eseguì la
traduzione sul testo ebraico del rotolo usato nella sinagoga di Betlemme
trascrivendolo di suo pugno: questo testo era affine al TM, almeno per le
consonanti. Tradusse solo i libri protocanonici, dei deuterocanonici, ai quali
era contrario perché mancanti nella Bibbia ebraica, tradusse Tobia e Giuditta,
per compiacenza verso alcuni amici.
Malgrado
la sua incontestabile superiorità, l’opera di S.Girolamo incontrò, già durante
la vita del suo autore, forti opposizioni, suscitando vivaci polemiche. Tale
accoglienza sfavorevole proveniva da un’esagerata stima dei LXX, da cui
derivava l’antica latina, e dall’attaccamento a quest’ultima. La situazione
cambiò quando S.Agostino, a poca distanza dalla morte dell’amico iniziò a
servirsi della nuova versione. L’uso diffuso in tutta la Chiesa della Volgata
si avrà verso la fine del sec VIII.
éLA FORMAZIONE DEL CANONE DEL NUOVO TESTAMENTOé
Tutti
i libri del NT furono scritti nella seconda metà del primo secolo, durante un
periodo di circa 50 anni. Dal primo momento questi libri, che contenevano
l’insegnamento di Gesù e la dottrina degli apostoli, furono accolti con grande
venerazione dalle primitive comunità cristiane a cui erano indirizzati.
Alcune
lettere avevano una destinazione più ampia perché indirizzate a varie chiese
locali, ed è logico pensare che le chiese destinatarie avessero, per successive
trascrizioni, copie di quei documenti, facendo così delle piccole raccolte.
Non
si è in grado di precisare con maggiore esattezza questa fase iniziale di
formazione del Canone. Forse Rm ed Ef ebbero una rapida diffusione per il loro
contenuto dogmatico; nelle chiese della Grecia e dell’Asia Minore, per la loro
vicinanza, si formò una collezione costituita da alcuni scritti paolini,
giovannei e lucani. A Roma sarebbe stata integrata da Rm e Mc; in Siria e
Palestina da Mt, Gc e Gd. In alcune comunità, come la Gallia, la storia sembra
confermare la precoce costituzione di tutto il canone; in altre, quali la
Siria, il processo fu molto più lento.
I primi secoli
Nella
formazione del canone nel sec II, nessuno degli scrittori ecclesiastici
(Didachè, S.Clemente Romano, Pseudo-Barnaba, S.Ignazio antiocheno, S.Policarpo,
S.Giustino, Taziano, Atenagora, S.Teofilo, S.Ireneo) si preoccupò di redigere
un catalogo dei libri ritenuti ispirati (8). Essi mostrano comunque una grande
familiarità con gli scritti del NT. Dalle loro opere si possono ricavare i
seguenti tre dati: citano o alludono a quasi tutti i libri del canone (tranne
3Gv); nessuno dei libri ispirati viene messo in dubbio; tutti riconoscono ad essi
un’autorità suprema (9).
Verso
la fine del sec II il canone biblico del NT era praticamente formato: c’era un
consenso quasi unanime nelle chiese sui libri da ritenere ispirati e normativi.
Dall’inizio del sec III le testimonianze sono più chiare, nelle diverse
comunità cristiane, dove possedevano proprie tradizioni, si avvertì un doppio
fenomeno: da una parte, le liste dei libri mostravano come in alcune di esse
non si era aggiunta una conoscenza completa del canone; dall’altra, al contatto
fra le diverse comunità, si manifestarono dubbi sulla reale canonicità degli
scritti non riconosciuti da tutte le chiese come ispirati (10). La tradizione
sull’ispirazione con la conseguente normatività, dei libri del canone, si
impose gradualmente grazie alla catena continua di testimonianze su di essi,
mai interrotta.
Tutti
i libri del NT furono scritti nel greco comune, ampiamente diffuso in Oriente
durante l’epoca ellenistica; tale lingua ricevette il nome di
κοινή (comune, ordinario). Nei testi si riscontrano
anche risonanze semitiche.
Riguardo
il materiale scrittorio si riscontra l’uso del papiro, inizialmente, dal sec IV
divenne comune la pergamena, più costosa e più resistente. Il formato del
papiro era generalmente il rotolo, è documentata anche la rilegatura a libro;
per la pergamena prevale il codice, estremamente pratico tale sistema si impose
nell’uso.
La
scrittura era di due forme: onciale o minuscola. La prima era simile alla
scrittura capitale, utilizzata per monumenti e monete, più arrotondata e meno
lineare, le lettere sono tutte della stessa altezza, un’oncia da cui il nome.
La seconda fu utilizzata dal sec IX, in sostituzione della precedente, scritta
con i caratteri legati e diversa altezza.
I
manoscritti erano redatti di seguito su una o due colonne, senza punteggiatura,
l’attuale divisione in capitoli si fa risalire al Vescovo di Canterbury Stefano
Langton, morto nel 1228; l’uso dei versetti venne introdotto dallo stampatore
francese Robert Estienne, nel 1551.
Come
accanto ai libri sacri, il mondo ebraico producesse fra il sec II a C, ed il
sec II d C, un’ampia letteratura, la cui conoscenza risulta vantaggiosa per
precisare la storia del canone, per l’ermeneutica biblica, come espressione
dell’ambiente culturale-religioso in cui nacquero i libri sacri. Tale
letteratura è chiamata intertestamentaria per l’epoca in cui sorse, benché a
volte i testi definitivi raggiunsero la forma finale molto più tardi. Accanto
ad essa si sviluppò una letteratura che pose per iscritto l’insegnamento dei
rabbini e possiamo denominar rabbinica.
Una
possibile classificazione di questi scritti comprende la letteratura liturgica
(orazioni, Targumim), la letteratura rabbinica di tipo halakico (Mishnah,
Ghemara, Talmud, Tosefta), la letteratura rabbinica haggadica (Midrashim), la
letteratura apocrifa dell’AT (palestinese ed ellenistica), gli scritti di
Qumran, la produzione letteraria del giudaismo ellenico (Filone d’Alessandria,
Giuseppe Flavio).
Anche
il NT ebbe una ricca letteratura concorrente tra il sec II e il V d C, tali
testi sono detti αποκρυφος
(occulto, nascosto). Questi libri, pur presentando affinitΰ per il titolo
o per il contenuto con i libri del canone, non furono mai riconosciuti dalla
Chiesa come ispirati, anche libri attribuiti ad un falso autore per dargli
autorevolezza usando il nome di un apostolo o di un personaggio dell’AT o del
NT. Gli apocrifi del NT sono molti e si suddividono in vangeli, atti, lettere,
apocalissi, a seconda dei libri neotestamentari a cui si ispirano. La critica
attribuisce a gli apocrifi un certo valore per quanto riguarda le indicazioni
geografiche, archeologiche e ambientali in genere, non però per quanto concerne
il contenuto.
Sempre
nell’ambito del cristianesimo troviamo gli àgrafa, sono frasi isolate
attribuite a Gesù da qualche tradizione, non presenti nei Vangeli canonici,
sono anche chiamati loghia o detti. Perché si possano ritenere autentici è
necessario che abbiano a loro favore varie testimonianze degne di fede ed
indipendenti fra loro, e contengano una dottrina conforme all’insegnamento
autentico del Cristo ed al suo stile. Il risultato dell’indagine condotta dai
critici è stato piuttosto scarso; e gli àgrafa considerati più probabili ben
poco aggiungono alla figura di Gesù conosciuta attraverso i Vangeli canonici.
La
definizione dogmatica del canone biblico, vetero e neotestamentario, fu
proclamato dal Concilio di Trento. In precedenza non mancarono decisioni magisteriali
più circoscritte, di alcuni concili provinciali o di documenti pontifici, che
attestavano la fede della Chiesa come era vissuta nelle diverse comunità
cristiane.
Le prime definizioni
Le
prime decisioni dell’autorità ecclesiastica sul canone biblico furono emanate
in tre concili plenari africani: quello d’Ippona del 393, e i due celebrati a
Cartagine, il III e il IV, del 397 e 419, ai quali prese parte S.Agostino, al
primo come sacerdote agli altri due come vescovo. In questi concili, per risolvere
i dubbi ancora esistenti nella chiesa africana, si redasse la lista completa
dei libri dell’AT e NT comprendente sia i protocanonici sia i deuterocanonici.
Il IV concilio cartaginese offre l’interesse particolare di segnalare il
criterio di cannonicità, ossia il perché si stabiliva la suddetta lista dei
libri: per averli ricevuti dai Padri. Afferma testualmente: "Dai nostri
Padri, infatti, abbiamo accolto questi testi, perché siano letti nella
Chiesa" (EB20).
A
questi documenti se ne possono aggiunger altri due: la lettera Consulenti Tibi
del 405 di papa Innocenzo I a S.Esuperio, vescovo di Tolosa, il quale aveva
chiesto indicazioni riguardo il canone dei libri sacri, nella lettera si trova
l’elenco completo con l’avvertimento verso gli apocrifi, invece, da respingere
e condannare; il canone del sinodo greco detto Trullano o Quinisesto del 692, è
importante per il suo influsso sulla questione del canone in Oriente.
Per
trovare un altro documento rilevante bisogna giungere fino al sec XV, quando il
Concilio ecumenico di Firenze, nel decreto per i Giacobini, riporterà il primo
catalogo ufficiale della Chiesa universale sui libri sacri. Il decreto non è
propriamente una definizione dogmatica solenne, piuttosto una professione di
fede, espone la dottrina cattolica così come era già universalmente ammessa.
Riproduce l’elenco completo, seguendo i decreti dei sinodi cartaginesi.
Il Concilio di Trento
Il
motivo per cui il Concilio di Trento affrontò questo argomento fu l’atteggiamento
dei protestanti riguardo il canone. Con il rifiuto della Tradizione e del
Magistero, il protestantesimo risolse il problema della determinazione di un
canone adottando, per l’AT, il canone ebraico ristretto. Per il NT le opinioni
dei protestanti furono molteplici.
Nella
sessione dell’8 aprile 1546, nel decreto De libris sacris et de traditionibus
recipiendis, il Concilio definì il canone dei libri sacri. Il testo conclude
affermando: "E se qualcuno poi non accetterà come sacri e canonici questi
libri, nella loro integrità e con tutte le loro parti, come si è soliti
leggerli nella Chiesa cattolica e come si trovano nell’antica versione della
Volgata latina, e disprezzerà consapevolmente le predette tradizioni: sia
anatema" (EB60 DS1504). In questa definizione dogmatica viene
affermata l’autorità normativa di tutti i libri del canone, senza introdurre
differenze al suo interno, e l’estensione della canonicità a tutti i libri con
tutte le loro parti. Oltre al canone tale decreto stabilì anche: la validità
delle due forme distinte della rivelazione, scritta ed orale, Scrittura e
Tradizione; la dottrina della validità e dell’autorità del Magistero;
l’autenticità della Volgata, come testo ufficiale e normativo per la Chiesa
latina.
La
definizione del tridentino, dalla quale risulta con certezza quanti e quali
libri dovevano essere ritenuti ispirati, quindi canonici, fu rinnovata dal
Concilio Vaticano I di fronte al rinascere di vecchie teorie manifestanti dubbi
sull’autorità di alcuni libri sacri, così si espresse il Concilio: "Questi
libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, nella loro interezza, con tutte le
loro parti, così come sono elencati nel decreto di questo concilio e come si
trova nell’antica edizione della Volgata, devono essere accettati come sacri e
canonici" (EB77 DS3006).
Le
conseguenze
Le
conseguenze delle eresie protestanti influirono molto sulla teologia e nel modo
di affrontare la Bibbia. Una prima conseguenza fu la soppressione dalle
edizioni della Bibbia dei deuterocanonici, il soggettivismo della traduzione e
dell’interpretazione, da parte dei protestanti. Per evitare e scoraggiare il
soggettivismo nella traduzione e nell’interpretazione la Chiesa sottopose alla
revisione le varie traduzioni e mise in guardia i cattolici da eventuali
traduzioni ed interpretazioni non concordi con le indicazioni del Magistero.
Nell’ultimo secolo (XX) molteplici sono state le iniziative riguardo la
scrittura:
a.
nel
1910 viene fondato l’Istituto superiore di ricerca biblica voluto dal papa Pio
X, detto Pontificio Istituto Biblico;
b.
nel
1943 con l’enciclica Divino affilante Spiritu di Pio XII si invitano i teologi
ad accettare i generi letterari, come elementi indispensabili per comprendere
l’AT;
c.
nel
1964 la Commissione Biblica estende anche al NT l’accoglienza del metodo di
studio della Storia delle Forme, favorendo il rifiorire degli studi biblici nel
mondo cattolico.
Il Concilio Vaticano II
Il
Concilio Vaticano II [di seguito CVII] ha ripreso la dottrina sul canone
biblico soprattutto nei capitoli IV e V della DV, ha messo in rilievo la
funzione della sacra Tradizione come criterio ultimo per la definizione del
canone biblico, (come già citato: cfr pag. 4).
Il
Concilio ricupera il concetto di rivelazione, dove il Concilio di Trento lo
aveva sostituito con quello di Vangelo. Sulla rivelazione il CVII esprime ciò
che la Chiesa ha sempre creduto, accogliendo anche i risultati degli studi
biblici e teologici, sempre più perfezionati e progrediti in quest’ultima parte
di secolo. Credo utile riportare, di seguito, ampie citazioni della DV per
presentare con la chiarezza delle parole del CVII il pensiero della Chiesa.
Ha
orientato lo studio sull’articolazione interna del canone, come la relazione
dinamica fra l’AT e il NT: "Iddio, progettando e preparando nella sollecitudine
del suo grande amore la salvezza del genere umano, si scelse con singolare
disegno un popolo al quale affidare le promesse. […] L’economia della salvezza,
preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori, si trova in qualità di vera
parola di Dio nei libri del Vecchi Testamento; perciò questi libri divinamente
ispirati conservano valore perenne: "Quanto fu scritto, lo è stato per
nostro ammaestramento, affinché mediante quella pazienza e quel conforto che
vendono dalle Scritture possiamo ottenere la speranza" (Rm 15,4)"(DV14);
ed ancora: "Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell’uno e
dell’altro Testamento e ne è l’autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo
fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo"
(DV16).
La
centralità dei Vangeli nell’insieme delle Scritture: "Cristo stabilì il
regno di Dio sulla terra, manifestò con opere e parole il Padre suo e se stesso
e portò a compimento l’opera sua con la morte, la risurrezione e la gloriosa
ascensione, nonché con l’invio dello Spirito Santo. Elevato da terra, attira
tutti a sé, lui che solo ha parole di vita eterna. Ma questo mistero non fu
palesato alle altre generazioni, come adesso è stato svelato ai santi apostoli
suoi e ai profeti nello Spirito Santo, affinché predicassero l’Evangelo,
suscitassero la fede in Gesù Cristo Signore e radunassero la Chiesa"
(DV17); ed ancora: "A nessuno sfugge che tra tutte le Scritture, anche
quelle del Nuovo Testamento, i Vangeli possiedono una superiorità meritata, in
quanto costituiscono la principale testimonianza relativa alla vita e alla
dottrina del Verbo incarnato, nostro Signore" (DV18). La specifica
ordinazione degli altri scritti notestamentari ai Vangeli: "Il canone
del Nuovo Testamento, oltre ai quattro Vangeli, contiene anche le lettere di
san Paolo ed altri scritti apostolici, composti per ispirazione dello Spirito
Santo; questi scritti, per sapiente disposizione di Dio, confermano tutto ciò
che riguarda Cristo Signore[…]" (DV20).
Gli
elementi più importanti presenti nella DV sulla rivelazione sono:
1.
Dio
parla all’uomo, gli si rivela e l’uomo ha la capacita di aprirsi a Dio; la
Bibbia contiene il piano di salvezza pensato da Dio per l’uomo, svoltosi nella
storia del popolo eletto (AT), si è realizzato in Gesù (NT), si compie e
attualizza ancora nella predicazione della Chiesa (Tradizione e Magistero);
2.
la
sacra Tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo deposito della
Parola di Dio affidata alla Chiesa;
3.
la
verità divinamente rivelata e contenuta nei libri della sacra Scrittura furono
scritte per ispirazione dello Spirito Santo;
4.
la
Costituzione afferma la necessità e la validità del Magistero della Chiesa,
incoraggia gli studi e tutti ad accostarsi al testo sacro;
5.
ricorda
che la verità di cui parla la Bibbia è quella riferita alla salvezza dell’uomo,
non ad altre verità raggiungibili dall’uomo con i propri mezzi intellettivi.
Il
viaggio alla scoperta del Canone biblico è un itinerario che, partendo
dall’origine stessa della Parola, attraverso la Chiesa, giunge fino a noi,
continuando il cammino nel futuro attraverso la Tradizione ed il Magistero,
sotto l’attenta guida dello Spirito Santo.
"La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per
il corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia,
di nutrirsi del pane di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra
tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la
regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e
redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso
e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli Apostoli la voce dello
Spirito Santo" (DV21).
Fraternamente in Cristo
NOTE:
1) I deuterocanonici sono sette
nell’AT: Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico, Baruc, 1-2 Maccabei.
2) Fu opinione di vari scrittori
ecclesiastici, quali Ireneo, Clemente Alessandrino, Tertulliano, Origene,
Eusebio, Girolamo, che Esdra avesse formato e chiuso il canone. L’opinione si
diffuse largamente tra protestanti e cattolici e dominò fino ai nostri giorni
passando come tradizione: secondo i protestanti Esdra avrebbe chiuso il canone
in modo che non sarebbe più stato permesso aggiungervi altri libri, mentre i
cattolici sostenevano che i giudei d’Alessandria vi avessero aggiunto più tardi
i deuterocanonici.
3) Il materiale scrittorio era di generi
molto diversi, come si deduce tanto dalla Bibbia quanto dalla letteratura
extrabiblica. Lastre di pietra dure o ricoperte di calce, tavolette di
terracotta, lastre di piombo, d’argento, d’oro, tavolette di legno ricoperte di
cera, cocci o frammenti di terracotta; molto antico fu l’uso del papiro. L’uso
della pergamena è certo posteriore al papiro, ma non si è certi in quale epoca
sia stato introdotto; forse dal sec II al III a C.
4) Le cause principali di tali alterazioni
furono due: la poca cura che ci deve essere stata per questi scritti quando,
non essendo ancora fissato il canone, non tutti ancora ne riconoscevano
l’ispirazione; la sorte subita dai libri sacri in tempi di prove religiose,
come l’esilio babilonese e la persecuzione d’Antioco Epifane.
5) Masoreti sono chiamati quei dotti rabbini
della scuola tiberiense che raccolsero e misero in iscritto la Masora, ossia
tutto il complesso d’annotazioni critiche relative al testo sacro, fino allora
trasmesse per via orale. Tra queste annotazioni critiche vi era anzitutto il
modo di leggere il gruppo di consonanti di ciascuna parola, ossia la
vocalizzazione delle consonanti. Questa vocalizzazione, iniziata al sec VI, fu
completata nel sec VIII, mentre l’intero lavoro masoretico ebbe termine nel sec
X.
6) Dietro richiesta del re Tolomeo Filadelfo
(285-247) le autorità di Gerusalemme mandarono ad Alessandria 72 dottori della
legge, i quali ritiratesi nell’isoletta di Faro, davanti ad Alessandria, in 72
giorni tradussero il Pentateuco. In questo racconto generalmente si riconosce
come storico soltanto il fatto che verso la metà del sec III a C, sotto il re
Tolomeo ad Alessandria fu tradotta in greco la Legge.
7) La revisione fu eseguita parte a Roma
parte a Betlemme. A Roma emendò i quattro vangeli in base ad ottimi codici greci,
limitando ordinariamente la correzione ai punti dove il senso era alterato. È
molto probabile che abbia riveduto anche altri libri del NT. Contemporaneamente
rivide anche i Salmi sul testo dei LXX. A Betlemme emendò tutto l’AT, ad
eccezione dei deuteronomici, secondo il testo esaplare d’Origene, recandosi
nella biblioteca di Cesarea. Questo lavoro andò poco dopo perduto, prima ancora
che lo pubblicasse, ne rimase il Salterio, detto gallicano.
8) Nella storia della formazione del Canone è
utile ricordare il ruolo dell’opera dell’eretico Marcione (morto nel 160
circa). Questi volle raggiungere il nucleo originale del messaggio cristiano,
consistente nella rivelazione di un Dio dell’amore in contrapposizione al Dio
degli Ebrei, vendicativo e giustiziere. Stabilì un elenco di Scritture,
composto da 10 lettere di Paolo e il Vangelo di Luca. Oltre al rifiuto dell’AT
escluse anche i restanti testi del NT, poiché avrebbero falsificato la dottrina
aggiungendo elementi giudaici, arrivando a correggere il proprio canone da ogni
elemento dell’AT.
9) La più antica lista di libri sacri del NT
che finora si conosce è quella scoperta nel 1740 da Lodovico Antonio Muratori
nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, denominata Canone del Muratori. È
opinione comune che il canone abbia avuto la sua origine a Roma; e dal testo si
deduce che, al più tardi, deve risalire all’anno 180 circa, poiché il papa Pio,
cui si accenna, è stato pontefice romano negli anni 141-155. Il documento
presenta quattro serie di libri: 1)libri considerati sacri da tutti e si devono
leggere in chiesa pubblicamente; 2) libri che non sono considerati sacri da
tutti e quindi non tutti leggono pubblicamente in chiesa; 3) libri che si
possono leggere privatamente; 4) libri non accolti poiché apocrifi o scritti da
eretici. Il valore del canone è notevole, l’autore è un tenace assertore
dell’autorità apostolica e dell’autorità della Chiesa; il tono autoritario e il
netto senso della cattolicità sono argomenti in favore dell’origine romana.
10) Le chiese siriaca e antiochena presentano
un caso del tutto particolare. Qui il processo di canonizzazione attraversò
sommariamente tre periodi: a) all’inizio ci fu una misconoscenza dell’esistenza
delle lettere cattoliche, comprese le due protocanoniche (1Pt e 1Gv), e dell’Apocalisse,
come si deduce dagli scritti d’Afraate e dal cosiddetto canone siriano, la
lettera agli Ebrei fu sempre riconosciuta come libro ispirato; b) in un secondo
momento, attestato dalla versione siriaca Peshitta (inizi del sec V), entrarono
nel canone le tre lettere cattoliche maggiori (1Pt, 1Gv, Gc); c) a partire dal
450 si arriva alla formazione del canone completo, i cui libri integreranno, in
maniera del tutto normale, la versione siriaca chiamata filosseniana, dal
vescovo Filosseno di Mabbug (482-523), sull’Eufrate, che autorizzò una
revisione della Peshitta con una traduzione dei libri che in essa mancavano.