INIZIO


Molto del materiale scritto da Fausto Catani è stato raccolto nel libro "A caccia con Lupo Rosso Solitario" (a cura del Centro Studi ed Esperienze Scout Baden-Powell); questo libro rappresenta,  in un certo senso,  un importante manuale di lupettismo (ma non solo di lupettismo..).

il "fondatore" del Lupettismo cattolico italiano

Fausto Catani

Lupo Rosso Solitario

23/6/1909 - 18/5/78

F.Catani: "Essere Capi"

di Fulvio Janowitz

 

« Ululate, cani! Un lupo è morto stanotte! »

                                                   (Kipling)

 

Cosa è stato Fausto Catani nello scautismo italiano?

  Una figura di dimensioni storiche, anche se da anni ritiratosi da ogni incarico. Una figura stimata, parlando con Mario Sica la sera stessa della sua morte (il 18 Maggio 1978) ho usato — e qui ripeto senza esitazione — la parola «venerata», specialmente da quanti ebbero la ventura di servire al suo fianco.

  Ero un assai giovane Akela quando lo conobbi nel lontano 1947, lo sentii parlare di lupettismo e mi si aprirono nuovi orizzonti. Ricordo l’emozione quando lessi le bozze del "Manuale dei Lupetti" da lui tradotto con amore e precisione, recate a Bologna da Enrico Dalmastri al rientro da una riunione scout svoltasi a Roma nel dicembre di quell’anno. Negli anni successivi altre traduzioni sempre integre e fedeli delle opere di B.-P. e di Kipling nonché un numero notevolissimo di scritti origi­nali.

Il pellegrinaggio rover Assisi-Roma nel 1948 fu anche un’occasione di riu­nione dei primi lupettisti con il loro indimenticabile Akela d’Italia. Ci par­lava con occhi vividi ed intelligenti dietro due lenti cerchiate d’oro, con voce calda e frasi precise: ci esponeva il «suo» lupettismo di B.-P.. E ritor­nammo a casa entusiasti per raccoglier­ci nel freddo inverno modenese di Fiorano in un grande cerchio i cui contorni si perdevano nella fitta nebbia.

Il suo primo campo scuola credo, un grande urlo che risuona ancora nelle menti e nei cuori di coloro che lo lanciarono allora.

Non vogliono suonare retoriche, fratelli, queste note, ma un commosso tributo ad un capo che è tornato alla Casa del Padre.

Lavorava per i tanti bambini italiani offrendo ai loro educatori scout i nuovi «ferri del mestiere»: nella vecchia ASCI [precedente lo scioglimento del 1928] il lupettismo non aveva ancora trovato la sua identi­tà ed al risorgere dello scautismo dopo la notte fascista e la seconda guerra mondiale culminata per il nostro Paese nella Resistenza, tornarono ancora i «Riparti Misti» [per «riparti misti» si intendevano unità comprendenti lupetti, esploratori e rovers, sia pure in differenti squadriglie].

Promosse assieme a Monass e Salvatori la prima grande riforma: il Gruppo Scout con unità distinte: Branco-Riparto-Clan, tutt’ora operante e valida soluzione ai problemi dell’età evolutiva affrontata nell’ottica della metodologia scout.

Fedeltà allo scautismo di B.-P., ancoraggio ai principi di Gilwell [il campo scuola storico fondato da B.-P. in Gran Bretagna]: questi i cardini della sua azione, ben presto proiettata anche verso i problemi in­ternazionali per un reinserimento del rinato scautismo italiano.

Ma la sua azione più incisiva, il suo apporto più originale rimane legato al lupettismo.

Formò attorno a sé due «cerchi» uno più piccolo, la Pattuglia Nazionale, uno più largo: quello degli Incaricati Regionali.

Diresse personalmente i campi di Il tempo ed assegnò parsimoniosamente, come allora usava, le prime wood-badges. Avere da lui le «scarpette» era una «laurea». Giusto? Errato? Va collocato nel tempo, come ogni accadimento richiede.

Voleva due volte all’anno riunioni di Pattuglia Nazionale lunghe una set­timana. D’estate era tradizione farne una nella sua casa di via Lisbona 9, indissolubilmente legata anch’essa al suo ricordo. Ci facevamo da mangiare, discutevamo, scrivevamo, cantavamo insieme.

«Jau!!!», giornale per i Lupetti seguiva il ritmo della vita del Branco e ben presto gli affiancò «Attorno alla Rupe» per i Vecchi Lupi, tra l’altro con un commento esplicativo di quanto via via appariva su «Jau!!!». Ideò uno strumento di controllo eccezionale per il giornale dei «suoi» lupetti — la «famiglia felice di Jau» — ove venivano letti, discussi (e spesso cestinati...) gli articoli da un gruppo di lupetti scelti nei Consigli d’Akela ro­mani.

Ricordo ad una di quelle riunioni, e spero non gli dispiaccia che lo rammenti qui, un lupetto critico acuto e severo: Titta Righetti. Ed altri ancora potrei citare..

Formò una generazione di capi, affidando loro i campi scuola di primo tempo nazionali. Era convinto che lo scautismo vero si tramandasse più che sui libri attraverso la forma­zione capi, vissuta nella giusta atmosfera.

Per noi, era una scoperta, rivissuta poi da tanti, «entrare nella pelle». A me toccò quest’esperienza nel primo campo di Roviano, dicembre 1949. Al suo fianco un giovane Baloo appena ordinato sacerdote e prescelto quale Baloo d’Italia dopo il primo, don Tullio Brida, Mons. Luigi del Gallo.

La scoperta dell’armonioso equilibrio d’un ideale «treppiede» metodo­logico (Gioco, Giungla, Tecnica) immerso nella Famiglia Felice avveniva lì. In quei pochi giorni intensamente vissuti, dopo i quali si tornava ai no­stri Branchi con i «ferri del mestiere».

La giungla... quanti attacchi, quante discussioni per chi era «fuori» e non capiva. Ma quanto entusiasmo per chi accoglieva con animo puro la sua vi­sione e, mediante la sostituzione dei motivi, altro originale insuperato ap­porto, la elevava nella spiritualità francescana.

Giungla come realtà lupetti ASCI del "dopo guerra"non come fan­tastico: lo sosteneva non con argomentazioni teoriche, ma facendo scaturire il concetto da esempi incancellabili come sa chi lo ha sentito alla sera. Nel crepitio del fuoco, parlare della Patria dopo aver narrato la battaglia dei Cani Rossi.

Si firmava Lupo Rosso Solitario e la sua solitudine era colmata dai canti, dalle risa, dai Grandi Urli che da ogni parte d’Italia sempre più numerosi si levavano.

Poi il ritiro, il silenzio dignitoso tra mille difficoltà anche materiali, una vita difficile sopportata con spirito inestinguibile. Ed ora a rompere questo silenzio la fine dolorosa. Il compimento d’una strada che ha segnato tante vite: tra esse la mia.

Permettetemi di firmare ancora una volta, l’ultima, come ai suoi tempi di Akela.

 Chil della Rupe Solitaria

Fulvio Janovitz

(liberamente adattato da "Scout" - AGESCI -  Giugno 1978

 

Il primo Akela d'Italia

di Mario Sica

Fausto Catani è stata una delle personalità che più profondamente hanno inciso nello scautismo italiano del dopoguerra.

Entrato nel Movimento a 13 anni nel 1922, ebbe il tempo di sentire il fascino della figura di Mario di Carpegna [il primo capo scout dell'ASCI]. Nel 1925, data la sua buona conoscenza delle lingue, fece da guida agli scouts degli altri Paesi in occasio­ne del Pellegrinaggio Internazionale per l’Anno Santo. E nel 1928-29, gio­vane ventenne, visse intensamente il trauma dello scioglimento e il primo periodo clandestino, sostenendo assie­me a Adriano Ruggi d'Aragona e in dibattito con Mario Mazza  — che pure lo stimava — la poca opportunità di cercare di «scautizzare i Balilla» come Mazza caldeggiava (è noto anche che Fausto si recò al Jamboree di Arrowe Park nell’agosto del 1929, latore di una lettera di Mazza, ma anche delle idee dei clandestini romani; e che gli ambienti del Bureau mondiale incoraggiarono piuttosto l’at­teggiamento di Mazza che quello dei clandestini).

Queste prime esperienze lo segnaro­no a tal punto che in embrione vi troviamo già il Fausto Catani della ripresa dell'ASCI. Da Mario di Carpegna apprese la lezione dello studio accurato delle fonti del metodo, cioè gli scritti di B.-P. e ne completò l’opera (Mario aveva tradotto per primo lo "Scauti­smo per Ragazzi") traducendo tre dei quattro testi principali, nonché la biografia del Bastin.

Dal suo servizio per l’Anno Santo derivò la sua passione per la dimensione internazionale dello scautismo, che lo portò allo studio delle esperienze straniere e alla partecipazione impegnata a Conferenze e raduni mondiali nel periodo in cui tra il 1930 ed il 1935 resse anche i rapporti internazionali dell’ASCI (fu certamente il dirigente più conosciuto in campo internazionale dopo Mario di Carpegna). E contribuendo a ricostruire l’Associazione come responsabile della Branca Lupetti, egli perseguiva un’intima rivincita sullo scioglimento del 1928.

  Fu in quest’ultima funzione il suo momento migliore, il suo apporto più originale. Salvatori, Monass e Catani furono tra il 1943 ed il 1955 i «tre moschettieri» della ripresa.

É difficile, oggi, renderci conto dello slancio, dell’entusiasmo e delle speranze smisurate con cui i tre responsabili delle Branche, spesso insieme anche al di fuori delle riunioni formali, si misero all’opera. «Nella fluida situazione del dopoguerra in cui pur tra grandi difficoltà si aprivano anche grandi possibilità, essi sacrifica­rono tempo riposo impegni — talora persino la vita privata e professionale per gettare le basi dell’associazione». Essi sognano un vasto movimento di giovani (e non li smonta la crisi post-ripresa: nel 1952 l’ASCI tocca il suo punto più basso, 18.000 scouts).

  E come base di questo vasto movi­mento di giovani, Fausto sogna un vasto movimento di bambini: il Lupettismo. Ma occorreva un metodo, inservibili essendo le limitatissime esperienze pre-scioglimento. Fausto ne crea uno, rivelando in tale opera una perso­nalità di autentico educatore e una profonda conoscenza della psicologia infantile.

  L’intelaiatura è quella di B.-P., che Fausto legge con grande cura e fedeltà, alcuni apporti sono desunti da esperienze del lupettismo cattolico franco-belga, ma molti lati sono origi­nali a cominciare dall’interpretazione della giungla di Kipling: che non è per Catani solo una storia tra le altre da raccontare al Branco, e neppure la storia principale, ma è l’atmosfera permanen­te in cui in Branco vive e quasi come un copione che i Vecchi Lupi recitano. Donde l’interpretazione solo maschile (che fu uno dei punti fermi del Lupettismo di Catani) della figura di Akela, che nei libri di Kipling ha indubbiamente una tonalità maschile.

  Ma il Lupettismo di Catani non è solo questo: è anche un linguaggio (il «linguaggio giungla», le Parole Maestre), uno stile educativo (il rifiuto del paternalismo e della morale diretta), un’atmosfera gioiosa (la Famiglia Felice: lo spunto è di B.-P., ma l’accentuazione di allegra baraonda è tutta latina), una preoccupazione di tener continuamente interessato il bambino e quindi un ritmo serrato di attività, un equilibrio tra le varie componenti del metodo (gioco - giungla - tecnica), una particolare spiritualità (lo spirito francescano e la figura di Baloo), una cura della continuità educativa (Catani fu il grande sostenitore del Gruppo scout e della pari dignità di tutte le Branche). Di tutti questi elementi, in parte di altri e in parte suoi, è sua la geniale sintesi, che egli compendia con chia­rezza, precisione, razionalità estrema in vari scritti (numero speciale di "Estate Parati" del 1949, articoli su "Attorno alla Rupe" poi raccolti in "Piste 1953") e insegna ai Campi Scuola. E nascono, caratteristica tipica della Branca, una serie di formule, sintetiche se si vuole, ma efficaci, che si tramandano nelle successive generazioni di Capi:

«la giungla si ferma ai piedi dell’altare e del palo dell’alzabandiera»;

«il problema della disciplina nel Branco non esiste:parliamo invece della Famiglia Felice»;

«un buon Branco lo si sente ad alme­no 200 m di distanza»;

«ogni Akela ha il Baloo che si merita»; e così via.

 In quegli anni (e soprattutto dopo l’eclisse di Mazza nel 1950) la sua autorità metodologica è — anche per i suoi contatti internazionali e per la sua conoscenza del pensiero di B.-P. — forse maggiore di quella di qualunque altro. A lui i Capi e Commissari, di ogni Branca, si rivolgono spesso per sapere se la tal cosa «è o non è scautismo».

  Alcuni degli aspetti del Lupettismo di Catani furono poi messi in discussione (la guida femminile dei Branchi fu introdotta nell'ASCI 1967) o liberati da una certa rigi­dità un po’ dogmatica. Ma chi guardi all’essenziale deve ammettere che il suo metodo è praticamente ancor oggi il più sicuro punto di riferimento dei nostri Branchi. Ed altri aspetti appaiono francamente anticipatori: mentre le direzioni di Riparto erano organi essenzialmente amministrativi (sul piano educativo chi contava era il Capo Riparto), Catani — ad onta dell’accentuazione, a livello lupetti, della figura di Akela — insistette perché il Consiglio di Branco fosse una autentica comunità di educatori, solidalmente responsabili del progetto educativo del Branco e dei progressi di ciascun Lupetto e nucleo di irradiamento dello spirito di "Famiglia Felice".

  Emerge così, tra la fine degli anni ‘40 e l’inizio degli anni ‘50, la figura del lupettista, che si caratterizza nei gruppi, nei commissariati, nelle pattuglie. Nasce la stampa specializzata, per lupetti ("Jau!!!") e per capi ("Attorno alla Rupe"). Nasce una rete di collaboratori, gli Incaricati Regionali e la Pattuglia Nazionale. Fu soprattutto in seno a quest’ultima (la Pattuglia Nazionale Lupetti fu la prima dell’ASCI, le altre Branche seguirono per imitazione) che Fausto trovò il terreno migliore per la sua azione, chiamando a farne parte un gruppo di capi capaci ed entusiasti — come Rocco Cacopardo, Gianni Scansetti, Paolo Manfredonia, Carlo Trevisan, Paolo Severi, Fulvio Janovitz, Alino Lucchini, Antonio Albites Coen, Giorgio Alitta, Virginio Inzaghi, Guido Cortuso, Marcello Papi, Marcello Sacerdote, Serafino Turchetti, Piero Forti, — a lui legati da un profondo rapporto umano.

  Giacché l’uomo Fausto Catani era effettivamente accattivante. Adatto, certo,disegno Gaspare De Fiore in una équipe ad esser più l’animatore che un membro, e quindi più a suo agio nella Pattuglia che nel Commissariato Centrale: ma non il dittatore che taluni dicevano e che certe sue uscite irruente potevano far credere, anzi una persona che sapeva anche ascoltare e convincersi. Intransigente sui principi — e talora portato a veder questioni di principio dove non ce n’erano — poco incline al compro­messo (nel senso buono e nel senso cattivo del termine), era però di una genero­sità, bontà e capacità di affetto estreme, che traspiravano immediatamente. A Mario di Carpegna lo ricollegavano la grande signorilità, nobiltà d’animo, correttezza e cavalleria (una volta i lombar­di gli fecero trovare di sorpresa 4 cheftaines «proibite» — le «Lahinis», come le chiamavano — a un raduno di Capi Branco: si attendeva la sfuriata, ma Fausto appena le vide sorrise e le fece entrare nel cerchio), ma più di lui sapeva esercitare su ragazzi e capi un’immediata attrattiva e riscuoterne una profonda adesione («rimasi pressoché folgorato dalla risposta immediata che egli suscita», scrisse l'erede di B.-P., il colonnello Wilson nel 1947, «è l’uomo giusto al posto giusto»). Questo carisma particolare non era mai tanto evidente come in certi momenti, ad esempio i convegni di spiritualità alla Verna e ad Assisi. Nessuno prima o dopo di lui ha potuto fai vibrare gli animi in quel modo fin dalle sole parole iniziali:

 «Fratelli Capibranco...»

Per questo — pur lontano dallo scautismo attivo ormai da un ventennio se si eccettua qualche lavoro editoriale sempre accurato e prezioso — Fausto Catani era rimasto, sul piano personale, al centro di una rete di amicizie affettuose e fedeli di persone delle più svariate parti d’Italia e dai caratteri più diversi, che al di là del trascorrere degli anni continuavano a riconoscergli un grosso debito di gratitudine per quella felicità che, come lupetti o come Capi, egli aveva saputo dare alle loro vite.

Mario Sica

(liberamente adattato da "Scout" - AGESCI -  Giugno 1978

 

F.Catani: "Essere Capi"

 

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