LA FINE DEL “CAVALLERESCO”
di Fabio M. Bodi
o.p.
Ringraziamo l'autore per averci inviato questa interessante e approfondita analisi sulla "fine del Cavalleresco" in alcuni ambienti dello Scautismo cattolico. Il testo scritto da Fabio M. Bodi, e pubblicato dalla rivista "Servire", viene riprodotto in questa pagina in una versione "ridotta", ma è possibile leggere la "versione integrale" collegandosi al "link" di seguito indicato.
Zeb
«Lo scautismo è elitario perché chiede a tutti molto.
Si rivolge allora a tutti non a qualche privilegiato,
e vuole che tutti salgano di spessore».
P. Marie Denys Forestier o.p.
Sepoltura
di un Cavaliere
Nello
scautismo che ho frequentato io si dava un grande peso all’idea della
Cavalleria. Non era un ambiente aristocratico, i nostri capi erano per lo più
provenienti da scuole tecniche e non c’erano grossi discorsi al proposito.
Tutti
frequentavamo la palestra di Judo e più che all’aspetto sportivo eravamo
piuttosto attenti al Bushido*[1]
per il suo codice etico così vicino all’idea che ci eravamo fatti della
Cavalleria.
Per
la verità l’idea di Cavalleria Giapponese è profondamente diversa:
vivendo loro il senso della vergogna, invece del senso di colpa hanno proiezioni
etiche quasi opposte alle nostre. Ma restava il fatto che la disciplina,
l’umiltà e la dignità nella morte ci impressionavano molto riconoscendone
virtù proprie della nostra tradizione Cavalleresca.
Il
Capo Riparto lo incontravo nella sede scout ed in palestra. Una parte
dell’allenamento consisteva nel portare sacchi di carbone nelle soffitte dei
vecchietti del centro, per le suore vincenziane ed anche questo entrava in un
codice di Cavalleria, scout, per il quale si era “forti” per essere utili.
Vent’anni
dopo seppi che il mio Capo, per quanto fossi ormai un... “ometto” era
comunque sempre il mio capo, aveva sei mesi di vita. Era la persona che mi aveva
dato una delle cose più importanti della mia esistenza: la Promessa. Ma mi
aveva anche insegnato a guidare l’auto, mi aveva mostrato un volto particolare
della Carità, da lui avevo imparato in quale punto dovevo generare il Kiai
nello sforzo del combattimento.
In
modo assolutamente inopportuno, per una persona normale, mi presentai a casa sua
e mangiammo insieme. Non parlò mai di sé, come se l’abisso che gli si apriva
innanzi non fosse che un accidens del tutto insignificante. Per tutto il
pomeriggio chiacchierammo invece di questioni mie, a quell’epoca ero appena
rimasto solo con mia figlia che aveva due anni.
Il
Cavaliere fa sue le parole di Paolo: “dov’è morte il tuo pungiglione?”*[2];
il Graal, simbolo della Grazia che travasa, non lo trova il migliore (Lancillotto)
ma il più piccolo (Parsifal) perché nessuno entra nel Regno se non è
piccolo. Avevo di fronte a me un “piccolo”, totalmente dimentico di sé come
lo sono i piccoli e con due occhi grandi, come quelli delle icone, aperti sul
creato.
Non
so se seppellimmo un santo-guerriero, certo abbiamo rimandato a Dio un
Cavaliere: niente di più che un Uomo, che aveva stima di sé tanto da “non
sbirciare mai fuori di sé, non sbirciare mai dentro gli altri, non pensare mai
a sé stesso”*[3].
Quest’uomo che mi ha insegnato a cucinare sul fuoco e non gelarmi i piedi
forse, forse!, mi ha anche insegnato a morire. Perché poi è questa alla fine
l’essenza di quel codice di Cavalleria che è nella legge, una cosa che non si
può dire ad un ragazzo ma che il tempo aprirà da sé dischiudendo
quell’immagine potentissima, depositata in lui, che è la Cavalleria.
Abbattimento
Ma
la Cavalleria muore, uccisa dalla modernità, la Cavalleria declina e sembra
morire, ogni volta definitivamente.
Anche
noi [nell'AGESCI] la Cavalleria l’abbiamo abbattuta: per lo Scautismo
cattolico [dell'AGESCI] la Cavalleria finisce nella primavera del 1974
con la soppressione di parte dell'articolo quinto della Legge Scout *[4].
Nel
77*[5]
viene pubblicato in forma definitiva l'attuale testo [AGESCI].
Resta
tra i vecchi scout il vezzo di ricordare che comunque: «Noi s’è fatta la Promessa
nell’ASCI».
L’idea
della Cavalleria non era presente nella Legge delle Guide [AGI] e una Legge
comune doveva essere adattata. D’altro canto per chi ricorda quei tempi altre
sembravano le questioni importanti. Non va dimenticato che negli stessi anni si
dibatte sulla totale autonomia dell’Associazione dalla Gerarchia ecclesiastica
portando la questione ai voti del Consiglio Generale*[6] [AGESCI].
Legge
La
Legge Scout è una serie propositiva di “habitus” positivi. Non vi sono
divieti: sono imperativi etici tutti da reinventare prima nella vita del ragazzo
e poi dell’adulto. In questa prospettiva lo spirito della Cavalleria in un
certo modo vi fa eccezione.
La
Cavalleria, così come qui è intesa, esiste storicamente. Per quanto risponda
ad una idealità astratta, nella sua realtà ha una contingenza ben
identificabile. Esso è, dunque, sia un simbolo che un ideale incarnato nei
confronti del quale situarsi è un po’ più complesso. In generale la Legge
Scout presenta già ad ogni articolo aspetti del carattere Cavalleresco: la
lealtà, la fraternità, la purezza e tutti gli altri articoli sono di per sé
espressioni di questo spirito. Ne fa eccezione l’articolo nove sulla
laboriosità e l’economia, frutti di una spirito borghese che poco ha a che
vedere con l’ideale dalla Cavalleria.
Eton
Ma
va rilevato che Baden-Powell toglie l’ideale della Cavalleria alle esclusive
leve di Eton*[7]
per inviarlo nelle più modeste borgate popolari. È il figlio della piccola
borghesia a ricevere l’investitura a cavaliere, più raramente persino il
diseredato della periferia. Con questo B.-P. compie un gesto a suo modo
clamoroso: siamo, non va dimenticato, in una società dove la distanza sociale
è abnorme e tale sarebbe restata a lungo senza la tragedia della Grande Guerra [la
Prima Guerra Mondiale].
Gli
immani campi di sterminio, che saranno le trincee del '14-'18,*[8]
spazzeranno via costumi secolari. Dopo il millenovecento-diciotto nulla
sarà più come prima ma i prodromi di questo rivolgimento sono già presenti
dall’inizio
della modernità con l’inarrestabile processo di individualizzazione, di
diffusione delle informazioni e delle immagini*[9].
Va
riconosciuta a B.-P. una notevole capacità di cogliere indizi ed elaborarli in
percorsi originali.
B.-P.
individua il saliente della guerra e la sua portata, con cruda lucidità ed in
modo assolutamente notevole se si rapporta alle quasi nulle capacità analitiche
della classe militare dell’epoca (ma un eccezione va fatta per la Germania).
Società
Vittoriana
B.-P.
non era un aristocratico ed aveva vissuto la maggior parte della sua vita a
contatto con culture molto diverse dalla sua e questo gli permette di
intravedere la fine della società Vittoriana senza rimpianti.
Nel
contempo B.-P. non è affatto incline ad un “progressismo” di maniera e si
rende conto che quella stessa società, che va a finire, custodisce valori da
salvare. Il modello Cavalleresco è, in questo senso, un archetipo umano proprio
dell’occidente di indubbie qualità.
Su
questo ideale è sopravvissuta e si è sviluppata gran parte della storia
Europea. B.-P. universalizza questo “plásma”*[10]
togliendolo al mondo chiuso dell’aristocrazia e coniugandolo alle più duttili
classi sociali a cui lo scautismo si rivolge e lo fa con un certo successo,
anche in forza della grande capacità di suggestione di codesto modello.
L’ideale
della Cavalleria era stato, almeno fino ad una fase avanzata della modernità,
assolutamente incomprensibile al di fuori della cerchia aristocratica.
B.-P.
coglie bene il suo tempo facendo, tra i primi, una cosa che prima non si sarebbe
potuta fare ed estende a tutti qualcosa fino allora esclusivo. Questa capacità
di universalizzare un valore, cogliendone la potenza al di là del suo contesto
originario, è mancata invece alla nostra associazione [AGESCI] nel
74?
Negli anni settanta quel modello di valore appartenente solo al mondo maschile poteva divenire un patrimonio comune, poteva, così come fece B.-P. all’inizio del secolo, essere ulteriormente universalizzato estendendolo all'altra “metà del cielo”.
Radici
Detto
questo resta da dire cos’è la Cavalleria o per lo meno quello spirito
Cavalleresco per il quale, almeno fino al 1974, abbiamo impegnato una grande
parte del nostro tessuto etico.
Dai
trovatori alla letteratura romantica l’idea della Cavalleria ha un enorme
riscontro artistico. Questa produzione ha avuto una diffusione così vasta da
essere conosciuta anche da chi i libri li frequenta poco.
Dal teatro dei pupi al cinema, dalla narrazione popolare ai giochi di ruolo, libri come l’Orlando furioso, il don Chisciotte, il Cirano, le Canzoni di gesta, Ivanhoe ed altri infiniti testi hanno percorso tutta la storia d’Europa da sud a nord, dalla fine dell’impero, all’era post-industriale, prodotte in ogni epoca e in ogni latitudine e universalmente metabolizzate. Questo profondissimo radicamento storico, geografico e culturale è di per se un patrimonio straordinario, un deposito simbolico da cui l’occidente ha, nella crisi, attinto a piene mani.
Solco
Qui
accanto c’é l’immagine di una scultura di Calandra che rende bene le parole
di Carducci sulla Cavalleria: "...un ideale di perfezione morale sociale
e militare a cui si poteva aspirare liberamente e prendevasi più o meno sul
serio secondo le varie condizioni dell'anima e della vita propria”.
La grande produzione di opere sul tema Cavalleresco ha scavato profondamente l’universo fantastico dell’uomo occidentale lasciandone un solco indelebile e prova ne è il successo planetario di un tomo sterminato come “Il Signore degli anelli” che dagli anni sessanta ad oggi è, ininterrottamente, culto di ambienti assolutamente opposti come il movimento “Hippie” o la “Nouvelle droite” ed in ultimo il mondo cattolico.
Storia
Per quanto la Cavalleria esista ancora oggi e, in certo modo, sia esistita già in epoca Franca, occorre però porre storicamente questo movimento nei secoli del basso medio evo. Per capirne lo spirito e le ragioni dobbiamo avere la pazienza di cogliere almeno parte del suo percorso storico perché solo attraverso questo possiamo comprendere con quale profondità e radicata la nostra idea di uomo nell’ideale Cavalleresco. [...]
Missione
C’è [...] nel cavaliere un senso della propria missione particolare ed una fiducia nelle proprie capacità associative molto materiale. A questo si deve però aggiungere un tratto mistico molto forte. Come ogni organizzazione umana la Cavalleria presenta anche aspetti meno limpidi.
Non è questa la sede per parlarne ma va detto almeno che per giudicare occorre collocare ogni cosa in modo storico e saperla comparare all’ambiente in cui questa vive. In molte occasioni le organizzazioni Cavalleresche furono oggetto di feroci ostilità come nel caso di Filippo il Bello che distrusse selvaggiamente l’Ordine a suo esclusivo vantaggio. La soppressione dell’ordine dei Templari fu “il più grave cataclisma della civiltà occidentale” (Michelet) e “la negazione più vergognosa della giustizia” (Dailliez). [...]
Agonia
Con
la battaglia di Lepanto, che segna l’inizio di una fase discendente della
potenza Islamica, inizia anche il declino della Cavalleria cristiana. Questa
figura di uomo descritta da Bernardo di Chiaravalle nella sua estrema sobrietà,
compreso da un alto ideale etico, vincolato da legami di lealtà personali
assoluti, ispido e severo non ha spazio nella modernità. La modernità è, per
così dire, epoca delle “fanterie”, delle “masse” in cui l’individuo
ha un posto sempre più limitato. L’uomo della Cavalleria non è un uomo
“collettivo”, anche inserito in un Ordine mantiene intatta la sua assoluta
identità personale. La stima che ha di sé lo fa sentire al di sopra della
folla, lo mantiene nel sentimento della propria missione. Possiamo come uomini
moderni sentire simpatia più per le fanterie di arcieri di Azincurt che per i
tronfi Cavalieri francesi, possiamo soffrire per i contadini di Frankenhäusen
massacrati dai terribili Cavalieri Luterani ma equanimemente non possiamo non
riconoscere alla Cavalleria il merito di aver cercato un sogno e di averci
lasciato un mito.
Naufraghi
Gli uomini capaci di viverne lo spirito dopo il medio evo sono come dei naufraghi.
La
Cavalleria ha nel medio evo e nell’aristocrazia il suo habitat e man mano che
l’Europa ne esce ne viene a mancare la cultura ovvero quell’insieme di dati
simbolici, “quali il linguaggio, le regole matrimoniali, i rapporti economici,
l'arte, la scienza, la religione"*[11]. L’agonia di questo
mondo è comunque lenta e non basterà ne la rivoluzione Francese, ne la
rivoluzione Americana a terminarla. [...]
L’Amore
Questa idea della morte cruenta come meta ideale del cavaliere è una eredità del paganesimo nordico che segna in negativo specialmente l’Ordine Teutonico.
Il
culto della morte, quel culto residuale che troviamo anche in alcuni ambienti
fanatici del novecento, è però una degenerazione di un aspetto che,
tipicamente cristiano, segna invece positivamente la vita religiosa.
Il
motto “mortem cotidie ante oculossuspectam habere”*[12]
così tipico della spiritualità cristiana non è affatto una patologia
necrofila ma l’atto interore attraverso il quale si colloca la propria
esistenza nella contingenza temporale. Questo stato di coscienza dà
all’esistenza il suo senso compiuto ed alle nostre azioni il loro esatto
valore. Questa consapevolezza restituisce, per altro, al nostro esistere
una pienezza che è un atto di amore verso la vita stessa.
Privilegi
Se
il senso dell’imminenza è il senso caratteristico di ogni vita cristiana
questo però si attua diversamente per ogni stato. E sarà un diverso sentire
quello del monaco o del laico.
Il
Cavaliere, nel suo stato di guerriero e monaco, ha una spiritualità sua che
nell’iconografia è espressa nel san Giorgio. Ciò che lo distingue è il
privilegio della sua condizione ed il dovere di onorarla.
Il
Cavalierato è, in fatti, una condizione di assoluto privilegio: l’onore
dovuto a codesta condizione è il sacrificio di sé usando del proprio
privilegio coerentemente alla propria missione. Il dragone è, nella vita
interiore, la pulsione a usare il vantaggio della propria condizione ad
esclusivo vantaggio di sé. L’immagine del drago è abissale ed è immagine
della morte, la sola in grado di motivare la kénosi*[13]
necessaria al compimento di un Cavaliere.
Legge,
morte
B.-P.
nel codificare il “Cavalleresco” non dice nulla di tutto questo, e sarebbe
assurdo tentare di dirlo ad un adolescente ma usa un simbolo che dischiudendosi
nelle varie età del ragazzo aprirà i suoi significati volta per volta con
spessore diverso.
Pone
invece chiaramente al ragazzo la consapevolezza del suo valore e questo è un
tratto tipicamente Cavalleresco. Il valore riconosciuto in sé è, di
conseguenza, anche il riconoscimento di un “privilegio” obbligante. Il fatto
che questo privilegio non derivi da una condizione materiale o di casta ma dalla
constatazione del proprio valore umano in quanto tale è estremamente
significativo in sé ma considerata l’epoca è decisamente straordinario.
La
Cavalleria è una condizione elitaria lo scautismo lo sarà in modo assoluto
perché universale, così che si possa dire che “lo scautismo è elitario
perché chiede a tutti molto. Si rivolge allora a tutti non a qualche
privilegiato, e vuole che tutti salgano di spessore” [14]
Simbolo
sepolto
Forse
possiamo dire che la cesura che si è operata sul corpo della Legge Scout [dell'AGESCI]
non è stata un operazione oculata.
Dimenticando
il valore del simbolo in educazione si dimentica che l’atto educativo è
proiettivo e che il simbolo, depositato nell’immaginario, si dischiude in
tempi lunghi e imprevedibili ma con profondità assolute.
La
Cavalleria ha in sé un enorme carica simbolica, e avere depositato per quasi
settant’anni nel cuore degli esploratori questa immagine ne aumentava il
valore.
L’idea
della appartenenza ad una corte, della “cortesia”, da sola ha la stessa
carica simbolica? Di fronte all’Abisso le elementari doti di galateo, di cui,
per altro, i nostri ragazzi sono in genere privi, potranno dischiudersi con la
stessa potenza? I ragazzi cercheranno comunque l’elemento simbolico a costo di
assumerlo in ambiente degenerato.
La
grande arte del capo è quella dei “tempi”: suscitare il simbolo alla radice
di questa ricerca è la necessità educativa.
Occorre
però aver presente che il simbolo va “ritrovato” e mai inventato, il
simbolo c’è: occorrono occhi che lo vedano, orecchie che lo sentano.
Nei loro giochi di ruolo, nei loro draghi, nelle croci che portano al collo il simbolo è inesorabilmente ancora lì nel cuore dei nostri.
Un educatore può
farne a meno?
B.-P.
lo avrebbe afferrato e lo ha fatto, noi non possiamo lasciarlo cadere.
Torino
11 settembre 2002
Fabio M. Bodi o.p.
Grazie
al capo scout, Piero Gavinelli, a Giovannella Baggio e alla segreteria centrale
AGESCI per la testimonianza ed i riferimenti.
[1] Bushido (via del guerriero) inizialmente pratica Giapponese di devozione militare al feudatario in base all’etica Confuciana ed in seguito estesa a tutta la popolazione nel rapporto tra i sudditi ed il Tenno (imperatore).
[2] 1 Lettera ai Corinzi-15,56 Os- 13,14
[3] Martin Buber “Il cammino dell'uomo” Edizioni Qiqajon 1990*1
[4] "Estote Parati" (rivista capi ASCI) 1974 - Atti del Consiglio Generale vengono modificate Legge e Promessa Lupetto, p.19 del n°4-5. [Nell'AGESCI; l'FSE italiana nel 1976, al suo nascere, conserverà l'articolo 5° della Legge nella versione ASCI: "Lo Scout è cortese e cavalleresco"]
[5] "Estote Parati" 1975, Proposta Educativa (rivista capi AGESCI) n.3 del 1976;Proposta Educativa n.6 del 1977
[6] Proposta Educativa (rivista capi AGESCI), 1/1976
[7] Eton piccola città del Buckinghamshire (G.B.) dove ha sede uno dei collegi più tradizionali ed esclusivi del Regno Unito
[8] Robert Kee
[9] Marc Augé
[10] plásma: dal greco forma, cosa plasmata
[11] Lévi-Strauss
[12] San Benedetto regola, IV-47 "Avere ogni giorno presente davanti agli occhi la imminenza della morte" (Mt 24, 42 ss.)
[13] Kénosi in greco vuoto, sulla base di Fil 2,7 ha assunto un significato legato all’assunzione della condizione umana di Cristo. Questo atto di abbassamento è un modello penitenziale.
[14]P. Marie Denys Forestier o.p.