LA FINE DEL “CAVALLERESCO”
(versione
integrale)
Ringraziamo l'autore per averci inviato questa interessante e approfondita analisi sulla "fine del Cavalleresco" in alcuni ambienti dello Scautismo cattolico. Il testo scritto da Fabio M. Bodi, e pubblicato dalla rivista "Servire", viene riprodotto in questa pagina in un versione "integrale", ma è possibile leggere la "versione ridotta" collegandosi al "link" di seguito indicato.
Zeb
di Fabio M. Bodi
o.p.
«lo scautismo è elitario perché chiede a tutti molto.
Si rivolge allora a tutti non a qualche privilegiato,
e vuole che tutti salgano di spessore».
P. Marie Denys Forestier o.p.
Sepoltura
di un Cavaliere
Nello
scautismo che ho frequentato io si dava un grande peso all’idea della Cavalleria. Non era un ambiente aristocratico, i nostri capi erano per lo più
provenienti da scuole tecniche e non c’erano grossi discorsi
al proposito.
Tutti
frequentavamo la palestra di Ju-do e più che
all’aspetto sportivo eravamo piuttosto attenti al Bushido*[1]
per il suo
codice etico così vicino all’idea che ci eravamo fatti della Cavalleria.
Per
la verità l’idea di Cavalleria Giapponese è profondamente diversa:
vivendo loro il senso della vergogna, invece del senso di colpa hanno
proiezioni etiche quasi opposte alle nostre. Ma restava il fatto che la
disciplina, l’umiltà e la dignità nella morte ci impressionavano molto
riconoscendone virtù proprie della nostra tradizione Cavalleresca.
Il
Capo Riparto lo incontravo nella sede scout ed in palestra. Una parte
dell’allenamento consisteva nel portare sacchi di carbone nelle soffitte
dei vecchietti del centro, per le suore vincenziane ed anche questo
entrava in un codice di Cavalleria, scout, per il quale si era “forti”
per essere utili.
Vent’anni
dopo seppi che il mio Capo, per quanto fossi
ormai un... “ometto” era comunque sempre il mio capo, aveva sei mesi di
vita. Era la persona che mi aveva dato una delle cose più importanti
della mia esistenza: la Promessa. Ma mi aveva anche insegnato a guidare
l’auto, mi aveva mostrato un volto particolare della Carità, da lui
avevo imparato in quale punto dovevo generare il Kiai nello sforzo del
combattimento.
In
modo assolutamente inopportuno, per una persona
normale, mi presentai a casa sua e mangiammo insieme. Non parlò mai di
sé, come se l’abisso che gli si apriva innanzi non fosse che un accidens
del tutto insignificante. Per tutto il pomeriggio chiacchierammo invece
di questioni mie, a quell’epoca ero appena rimasto solo con mia figlia
che aveva due anni.
Il
Cavaliere fa sue le parole di Paolo: “dov’è morte
il tuo pungiglione?”*[2];
il Graal, simbolo della Grazia che travasa, non
lo trova il migliore (Lancillotto) ma il più piccolo (Parsifal)
perché
nessuno entra nel Regno se non è piccolo. Avevo di fronte a me un
“piccolo”, totalmente dimentico di sé come lo sono i piccoli e con due
occhi grandi, come quelli delle icone, aperti sul creato.
Non
so se seppellimmo un santo-guerriero, certo abbiamo rimandato a Dio un
Cavaliere: niente di più che un Uomo, che aveva stima di sé tanto da
“non sbirciare mai fuori di sé, non sbirciare mai dentro gli altri, non
pensare mai a sé stesso”*[3].
Quest’uomo che mi ha insegnato a cucinare
sul fuoco e non gelarmi i piedi forse, forse!, mi ha anche insegnato a
morire. Perché poi è questa alla fine l’essenza di quel codice di
Cavalleria che è nella legge, una cosa che non si può dire ad un ragazzo
ma che il tempo aprirà da sé dischiudendo quell’immagine potentissima,
depositata in lui, che è la Cavalleria.
Abbattimento
Ma
la Cavalleria muore, uccisa dalla modernità, la Cavalleria declina e
sembra morire, ogni volta definitivamente.
Anche
noi [nell'AGESCI] la Cavalleria l’abbiamo abbattuta: per lo scautismo
cattolico [dell'AGESCI] la Cavalleria finisce nella primavera del 1974 con la
soppressione di parte dell'articolo quinto della Legge Scout *[4].
Nel
77*[5]
viene pubblicato in forma definitiva l'attuale testo [AGESCI].
Resta
tra i vecchi scout il vezzo di ricordare che comunque: «Noi s’è fatta la Promessa nell’ASCI».
L’idea
della Cavalleria non era presente nella Legge delle Guide [AGI] e una
Legge comune doveva essere adattata. D’altro canto per chi ricorda quei
tempi altre sembravano le questioni importanti. Non va dimenticato che
negli stessi anni si dibatte sulla totale autonomia dell’Associazione
dalla Gerarchia ecclesiastica portando la questione ai voti del
Consiglio Generale*[6] [AGESCI].
Legge
La
Legge Scout è una serie propositiva di “habitus” positivi. Non vi
sono divieti: sono imperativi etici tutti da reinventare prima nella
vita del ragazzo e poi dell’adulto. In questa prospettiva lo spirito
della Cavalleria in un certo modo vi fa eccezione.
La
Cavalleria, così come qui è intesa, esiste storicamente. Per quanto risponda
ad una idealità astratta, nella sua realtà ha una contingenza ben
identificabile. Esso è, dunque, sia un simbolo che un ideale incarnato
nei confronti del quale situarsi è un po’ più complesso. In generale la
Legge Scout presenta già ad ogni articolo aspetti del carattere
Cavalleresco: la lealtà, la fraternità, la purezza e tutti gli altri
articoli sono di per sé espressioni di questo spirito. Ne fa eccezione
l’articolo nove sulla laboriosità e l’economia, frutti di una spirito
borghese che poco ha a che vedere con l’ideale dalla Cavalleria.
Eton
Ma
va rilevato che Baden-Powell toglie l’ideale della Cavalleria alle
esclusive leve di Eton*[7]
per inviarlo nelle più modeste borgate
popolari. È il figlio della piccola borghesia a ricevere l’investitura a
cavaliere, più raramente persino il diseredato della periferia. Con
questo B.-P. compie un gesto a suo modo clamoroso: siamo, non va
dimenticato, in una società dove la distanza sociale è abnorme e tale
sarebbe restata a lungo senza la tragedia della Grande Guerra [la Prima Guerra
Mondiale].
Gli
immani campi di sterminio, che saranno le trincee del '14-'18,*[8]
spazzeranno via costumi secolari. Dopo il millenovecento-diciotto nulla sarà più
come
prima ma i prodromi di questo rivolgimento sono già presenti dall’inizio
della modernità con l’inarrestabile processo di individualizzazione, di
diffusione delle informazioni e delle immagini*[9].
Va
riconosciuta a B.-P. una notevole capacità di cogliere indizi ed elaborarli in
percorsi originali.
B.-P.
individua il saliente della guerra e la sua portata, concruda lucidità ed in modo assolutamente notevole se si rapporta alle
quasi nulle capacità analitiche della classe militare dell’epoca (ma un
eccezione va fatta per la Germania).
Società
Vittoriana
B.-P.
non era un aristocratico ed aveva vissuto la maggior parte della
sua vita a contatto con culture molto diverse dalla sua e questo gli
permette di intravedere la fine della società Vittoriana senza
rimpianti.
Nel
contempo B.-P. non è affatto incline ad un “progressismo” di maniera e si
rende conto che quella stessa società, che va a finire, custodisce valori da salvare. Il modello Cavalleresco è, in questo senso, un archetipo umano proprio
dell’occidente di indubbie qualità.
Su
questo ideale è sopravvissuta e si è sviluppata gran parte della storia
Europea. B.-P. universalizza questo “plásma”*[10]
togliendolo al mondo chiuso dell’aristocrazia e coniugandolo alle più duttili
classi sociali
a cui lo scautismo si rivolge e lo fa con un certo successo, anche in
forza della grande capacità di suggestione di codesto modello.
L’ideale
della Cavalleria era stato, almeno fino ad una fase avanzata della
modernità, assolutamente incomprensibile al di fuori della cerchia
aristocratica.
B.-P.
coglie bene il suo tempo facendo, tra i primi, una cosa che prima non si sarebbe
potuta fare ed estende a tutti qualcosa fino allora esclusivo. Questa capacità
di universalizzare un valore, cogliendone la potenza al di là del suo contesto
originario, è mancata invece alla nostra associazione [AGESCI] nel '74?
Negli
anni settanta quel modello di valore appartenente solo al mondo maschile poteva
divenire un patrimonio comune, poteva, così come fece B.-P. all’inizio del
secolo, essere ulteriormente universalizzato estendendolo all'altra “metà del
cielo”.
Radici
Detto
questo resta da dire cos’è la Cavalleria o per lo meno quello
spirito Cavalleresco per il quale, almeno fino al 1974, abbiamo
impegnato una grande parte del nostro tessuto etico.
Dai
trovatori alla letteratura romantica l’idea della Cavalleria ha un
enorme riscontro artistico. Questa produzione ha avuto una diffusione
così vasta da essere conosciuta anche da chi i libri li frequenta poco.
Dal
teatro dei pupi al cinema, dalla narrazione popolare ai giochi di
ruolo, libri come l’Orlando furioso, il don Chisciotte, il Cirano, le
Canzoni di gesta, Ivanhoe ed altri infiniti testi hanno percorso tutta
la storia d’Europa da sud a nord, dalla fine dell’impero, all’era
post-industriale, prodotte in ogni epoca e in ogni latitudine e
universalmente metabolizzate. Questo profondissimo radicamento storico,
geografico e culturale è di per se un patrimonio straordinario, un
deposito simbolico da cui l’occidente ha, nella crisi, attinto a piene
mani.
Solco
Qui
accanto c’é l’immagine di una scultura di Calandra che rende bene le
parole di Carducci sulla Cavalleria: "...un ideale di perfezione morale
sociale e militare a cui si poteva aspirare liberamente e prendevasi più
o meno sul serio secondo le varie condizioni dell'anima e della vita
propria”.
La
grande produzione di opere sul tema Cavalleresco ha scavato
profondamente l’universo fantastico dell’uomo occidentale lasciandone un
solco indelebile e prova ne è il successo planetario di un tomo
sterminato come “Il Signore degli anelli” che dagli anni sessanta ad
oggi è, ininterrottamente, culto di ambienti assolutamente opposti come
il movimento “Hippie” o la “Nouvelle droite” ed in ultimo il mondo
cattolico.
Storia
Per
quanto la Cavalleria esista ancora oggi e, in certo modo, sia
esistita già in epoca Franca, occorre però porre storicamente questo
movimento nei secoli del basso medio evo. Per capirne lo spirito e le
ragioni dobbiamo avere la pazienza di cogliere almeno parte del suo
percorso storico perché solo attraverso questo possiamo comprendere con
quale profondità e radicata la nostra idea di uomo nell’ideale
Cavalleresco.
Arii
L'incontro
e lo scontro che il mondo latino, di fine impero, ha con la migrazione Germanica, cambia l’assetto sociale Europeo, assestando
quella disgregazione in atto da alcuni secoli. Il mondo del diritto
(l’Impero) e il mondo del legame dinastico (la tribù Germanica)
producono nel conflitto la società feudale e Cavalleresca.
Attraverso
la costituzione delle corti e della “cortesia” si imporranno quei modelli
unificanti che saranno alla base della società medioevale. La corte di fatti, nel suo assetto militare, culturale e religioso è lo strumento di unificazione
nazionale.
Dalla
corte si irradia la formazione intellettuale, l’unificazione liturgica e persino i modelli musicali come nel caso del Gregoriano e dunque anche il
modello Cavalleresco.
Oggi
la sola idea che questo ambiente potesse consumare oltre la metà
delle risorse dello Stato fa orrore ma la competizione tra potere
centrale e poteri marginali avveniva su questo campo e le aristocrazie
locali, dovendo competere sul terreno della corona nelle corti,
diminuivano di fatto il loro potenziale concorrente. Spesso le feudalità
periferiche dissanguavano, in questa competizione, enormi risorse in un
conflitto, non poi così diverso dalla cripto politica delle nostre
borse.
Odori
Questo
è l’ambito in cui si produce la “cortesia” ovvero il modello
comportamentale unitario attraverso il quale dovremo riconoscere l’altro
come simile a noi rigettando viceversa come “barbarico” il comportamento
eccentrico. Può sembrarci curioso che ancora a Versailles, in cui vige
un etichetta rigorosamente formale non vi sono norme per l’evacuazione
corporale e non vi sono veri e propri cessi per farlo. Le nostre buone
maniere in fondo si producono in un ambiente di cui non avremmo potuto
sopportare nemmeno l’odore.
Uomo-cavallo
La
“cortesia” dunque è la cultura da cui emerge quell’idea di Cavaliere
tipizzante l’occidente. Ma in origine un uomo armato ed il suo cavallo
non sono altro che un uomo e un cavallo. Di lui si può dire crudamente
che non è altro che un criminale a cui la Chiesa e il nuovo Impero
cercano di fornire un modello comportamentale meno devastante e nel
contempo definirlo romanticamente.
Va
detto che la Cavalleria, come funzione militare, esiste nelle legioni romane
come tra i Parti o i Cinesi. Essa è intesa come massa d’urto o come unità incursiva ed esplorativa ma la sua strutturazione medioevale supererà di molto
la
mera funzione militare per divenire un modello etico unico e non
raffrontabile con altre espressioni simili come il Bushido o l’ordine
degli Assasi*[11].
Alla
base di questo codice c’è un riconoscimento di sé
altissimo in cui “la norma comportamentale si manifesta quando il
guerriero incontra un avversario che nutre gli stessi principi; tuttavia
egli osserverà le usanze anche quando ne incontra uno senza quei
principi, e ciò per il rispetto che ha di se stesso”*[12].
Uomo-occidente
Il
Cavaliere coniuga in sé, insieme ad una pulsione aggressiva, una
valenza solidaristica, ospedaliera, e bancaria che unita, in seguito,
alla funzionalità dell’idea borghese di libertà e di mercato, darà modo
all’occidente di forgiare quel modello d’uomo che gli permetterà di
conquistare il mondo prima e di pentirsene poi.
Questa
avventura dell’occidente moderno la descrive bene Lewis quando dice:
"Accingendosi a conquistare, soggiogare e spogliare altri popoli, gli europei seguivano semplicemente l'esempio dato dai loro vicini e predecessori e
anzi si conformavano alla comune prassi dell'umanità...
Il
quesito interessante da porsi non è perché provarono, ma perché ci riuscirono
e
come mai, essendovi riusciti, si pentirono del loro successo come se
fosse stato un peccato. Quel successo fu l'unico nell'evo moderno; quel pentimento unico nella storia"*[13]
Cavaliere
a “Oriente”
Se
per alcuni aspetti questa è una visione un po’ cruda e comunque
antiromantica della Cavalleria, occorrerà anche riconoscere che questa
modalità di uomo, il Cavaliere, tipizza l’occidente non solo nei suoi
aspetti più duri. C’è in questo archetipo una base positiva che possiamo
ben cogliere là dove si va a sciogliere quel “nodo di Gordio”*14
delimitante le diversità tra oriente e occidente. Questo dato, che può
anche non piacerci, vien fuori ogni volta che affrontiamo il confronto
con una cultura per così dire “orientale”. In questo confronto dobbiamo
riconoscere come nostri alcuni modelli e rigettarne inevitabilmente
altri.
Onta
Per
il soldato dell’Impero Romano era onta, come ancora oggi, sopravvivere alla
caduta dell’insegna, per il guerriero Germanico era onta sopravvivere alla morte del capo. L’una è simbolo di Roma intesa come stato e Lex, fuori dalla
quale tutto e buio e kaos, l’altro è simbolo di legame tribale, senso
dell’unione personale, fuori del quale non è dato il riconoscimento
dell’altro come umano. La fusione di questi due aspetti all’insegna della
mediazione Ecclesiale formerà quegli uomini che permetteranno all’occidente
prima di sopravvivere a condizioni affatto disperanti e poi di imporsi
totalmente. C’è alla base di questo uomo quella nozione di persona,
praticamente sconosciuta prima del concilio di Costantinopoli*[14],
che troverà nelle tribù ariane un terreno più fertile che non nell’assolutismo dell'impero.
Diritto
Questa
figura di Cavaliere è funzionale alla diffusione di quella
nozione di persona che, unita all’applicazione del Diritto, sarà la
caratteristica propria dell’Europa e dell’occidente.
Il
diritto è nella scolastica “ordinamento della ragione per il bene
comune” *[15]
e possiamo ben dire che questa è un’idea basilare per lo sviluppo della società.
Monaci in armi
Con
la prima crociata questa Cavalleria di cui si parla prende forma
compiuta ed è su questo terreno che si sviluppa l’aspetto più
profondamente religioso di questo movimento collettivo.
Gruppi
di Cavalieri entrando nei monasteri riformati ne cambieranno profondamente
l’aspetto come nel caso di Bernardo a Citeaux e a Clairevaux. Si darà anche
il caso di vere e proprie fondazioni mendicanti*[16]
come nel caso del Carmelo o di ordini cavallereschi divenuti solo in seguito
mendicanti.
Veri
e propri ordini di Cavalleria, regolari e con caratteristiche monastico-militari,
si costituiscono comunque in Europa e in terra Santa.
Banco
La
loro vocazione di confine sarà, insieme alla loro estrema duttilità,
determinante per le esigenze della Cristianità. I Templari finanzieranno
centinaia di cantieri gotici in tutta l’Europa continentale, dando un
impulso fondamentale all’economia del duecento. Altri diventeranno una
vera e propria potenza navale come i cavalieri di Malta, istituto questo
tuttora esistente. Occorre inoltre pensare che le foresterie Templari
permettevano nuovamente la percorribilità delle strade anche a
contingenti privati, con un enorme vantaggio per il mercato.
Quest’ordine ha avuto un peso enorme nella bonifica di nuove terre
agricole, nella custodia e nella diffusione delle semenze e delle
derrate eccedenti favorendo così quello sviluppo demografico interrotto
con la caduta dell’impero.
I
Cavalieri sono monaci che, attraverso l’uso di uno strumento innovativo come
la lettera di cambio, producono i fondamentali dell’economia Europea.
Missione
C’è
dunque nel cavaliere un senso della propria missione particolare ed
una fiducia nelle proprie capacità associative molto materiale. A questo
si deve però aggiungere un tratto mistico molto forte. Come ogni
organizzazione umana la Cavalleria presenta anche aspetti meno limpidi.
Non è questa la sede per parlarne ma va detto almeno che per giudicare
occorre collocare ogni cosa in modo storico e saperla comparare
all’ambiente in cui questa vive. In molte occasioni le organizzazioni
Cavalleresche furono oggetto di feroci ostilità come nel caso di Filippo
il Bello che distrusse selvaggiamente l’Ordine a suo esclusivo
vantaggio. La soppressione dell’ordine dei Templari fu “il più grave
cataclisma della civiltà occidentale” (Michelet) e “la negazione più
vergognosa della giustizia” (Dailliez).
Islam
La
cavalleria cristiana trova la sua contrapposizione più forte e più
continua nell’Islam; in questo contrasto produce aspetti propri del suo
e, per conseguenza, del nostro carattere. C’è in questo fatto una certa
attualità. Oggi, il giorno in cui sto scrivendo, è l’undici Settembre ed
è come se si celebrasse la battaglia di New York. In questa tragedia la
Cavalleria vi è del tutto assente. Ma a Poitiers, ad Ascalona, ad Acri,
a Las Navas, in Kossovo, a Granada, Rodi, Mohacs, Vienna, Malta e a
Lepanto la Cavalleria c’era ma c’era anche nelle innumerevoli
transazioni commerciali, negli scambi, nei ghetti Genovesi e Veneziani,
nelle contrattazioni diplomatiche. Se tra Islam e Cristianità non c’è
stata una vera simpatia non significa che ci si sia sempre ammazzati.
Certamente ci sono state grandi giornate di sangue ma anche un
millennio di rapporti di mutuo vantaggio. Non occorre essere amici per
scambiarsi merci e nozioni, ne occorre essere amici per riconoscersi.
Fatah
Nel
“Novellino” del XIII sec. si racconta che il Saladino chiese ad un
suo prigioniero, il barone franco Hugues de Tabarie, di essere creato
cavaliere. L’avvenimento per quanto non storico si concilia con il
carattere magnifico e la grandezza del Saladino. Il racconto è comunque
rappresentativo di una serie di scambi tra antagonisti piuttosto
complessa e ricca.
Nella
tradizione Islamica esiste una forma di
Cavalleria, la Futuwat, ma non è possibile un identificazione tra le due
correnti poiché il Fatah (cavaliere) è prevalentemente un mistico. Di
fatto lo sviluppo complesso di un modello umano quale quello del Cavaliere necessita di una libertà e di una varietà di modi che
l’applicazione rigida di un corpo legislativo come il Corano, diretta
promanazione letterale del Divino, non permette e se la soppressione dei
Templari resta in Europa un fatto mostruoso, contravvenente ad ogni
principio religioso e civile, la persecuzione e la dispersione degli
Assasi rientra nella assoluta legittimità della applicazione di leggi
rigidamente divine. “Se ad Atene Socrate poteva essere processato
pubblicamente e poteva pronunciare interi discorsi, tre discorsi!, in
propria difesa, a Isfahan, mettiamo, o a Bagdad, un Socrate sarebbe
stato impalato seduta stante, impalato o flagellato, e tutto sarebbe
finito li. Non ci sarebbero stati dialoghi platonici, ne neoplatonismo,
niente: infatti non ci furono. Ci sarebbe stato solamente il monologo
del Corano: infatti ci fu”*[17].
Agonia
Con
la battaglia di Lepanto, che segna l’inizio di una fase discendente
della potenza Islamica, inizia anche il declino della Cavalleria
cristiana. Questa figura di uomo descritta da Bernardo di Chiaravalle
nella sua estrema sobrietà, compreso da un alto ideale etico, vincolato
da legami di lealtà personali assoluti, ispido e severo non ha spazio
nella modernità. La modernità è, per così dire, epoca delle “fanterie”,
delle “masse” in cui l’individuo ha un posto sempre più limitato.
L’uomo
della Cavalleria non è un uomo “collettivo”, anche inserito in un Ordine
mantiene intatta la sua assoluta identità personale. La stima che ha di
sé lo fa sentire al di sopra della folla, lo mantiene nel sentimento
della propria missione. Possiamo come uomini moderni sentire simpatia
più per le fanterie di arcieri di Azincurt che per i tronfi Cavalieri
francesi, possiamo soffrire per i contadini di Frankenhäusen massacrati
dai terribili Cavalieri Luterani ma equanimemente non possiamo non
riconoscere alla Cavalleria il merito di aver cercato un sogno e di
averci lasciato un mito
Naufraghi
Gli uomini capaci di viverne lo spirito dopo il medio evo sono come dei naufraghi. La Cavalleria ha nel medio evo e nell’aristocrazia il suo habitat e man mano che l’Europa ne esce ne viene a mancare la cultura ovvero quell’insieme di dati simbolici, “quali il linguaggio, le regole matrimoniali, i rapporti economici, l'arte, la scienza, la religione"*[18]. L’agonia di questo mondo è comunque lenta e non basterà ne la rivoluzione Francese, ne la rivoluzione Americana a terminarla.
Soluzioni
Così
come è difficile parlare della Cavalleria senza cadere nel
romanticismo o nell’essoterismo, altrettanto difficile è parlare del suo
crollo finale. Lo fa Joseph Roth nella “Cripta dei cappuccini” o
nella
“Radetzkymarsh”, lo fa Jean Renoir ne "La Grande illusione” e
qualcuno
forse ricorderà quel dialogo, accanto all’unico fiore della fortezza,
tra i due ufficiali aristocratici von Rauffenstein e de Boïeldieu:
_Un Maréchal o un Rosenthal ufficiali?
_Ottimi soldati
_Si sono i regali della rivoluzione francese
_ Credo che ne Voi ne io si possa arrestare la marcia del tempo
_Davvero? Io ignoro come andrà a finire questa guerra ma so che comunque
porterà la fine dei Rauffenstein e dei de Boïeldieu
_ Forse il mondo non ha più bisogno di noi
_ E non trovate che sia un peccato?
_Può darsi
Il
distacco e la tristezza di queste parole, comunque sprezzanti verso i
prodotti umani della modernità, Maréchal è un tecnico e Rosenthal il
figlio di banchieri ebrei, esprimono meglio di tanti trattati il senso
di questa caduta.
La
confidenza sul letto di morte di de Boïeldieu, fatta al suo
avversario che come lui è aristocratico e “Cavaliere”, è quanto mai
significativa mostra quanto di peggio la “Cavalleria” abbia espresso
nella sua decadenza: «Per un uomo del popolo è terribile morire in
guerra ma per me e per voi è una buona soluzione».
L’Amore
Questa
idea della morte cruenta come meta ideale del cavaliere è una
eredità del paganesimo nordico che segna in negativo specialmente
l’Ordine Teutonico. Il culto della morte, quel culto residuale che
troviamo anche in alcuni ambienti fanatici del novecento, è però una
degenerazione di un aspetto che, tipicamente cristiano, segna invece
positivamente la vita religiosa.
Il
motto “mortem cotidie ante oculossuspectam habere”*[19]
così tipico della spiritualità cristiana non è affatto una patologia
necrofila ma l’atto interiore attraverso il quale
si colloca la propria esistenza nella contingenza temporale. Questo stato di
coscienza dà all’esistenza il suo senso compiuto ed alle nostre azioni il
loro esatto valore. Questa consapevolezza restituisce, per altro, al nostro
esistere una pienezza che è un atto di amore verso la vita stessa.
Privilegi
Se
il senso dell’imminenza è il senso caratteristico di ogni vita
cristiana questo però si attua diversamente per ogni stato. E sarà un
diverso sentire quello del monaco o del laico.
Il
Cavaliere, nel suo stato di guerriero e monaco, ha una spiritualità sua che
nell’iconografia è espressa nel san Giorgio. Ciò che lo distingue è il
privilegio della sua condizione ed il dovere di onorarla.
Il
Cavalierato è, in fatti, una condizione di assoluto privilegio: l’onore
dovuto a
codesta condizione è il sacrificio di sé usando del proprio privilegio
coerentemente alla propria missione. Il dragone è, nella vita interiore,
la pulsione a usare il vantaggio della propria condizione ad esclusivo
vantaggio di sé. L’immagine del drago è abissale ed è immagine della
morte, la sola in grado di motivare la kénosi*[20]
necessaria al
compimento di un Cavaliere.
Legge,
morte
B.-P.
nel codificare il “Cavalleresco” non dice nulla di tutto questo, e
sarebbe assurdo tentare di dirlo ad un adolescente ma usa un simbolo che
dischiudendosi nelle varie età del ragazzo aprirà i suoi significati
volta per volta con spessore diverso.
Pone
invece chiaramente al ragazzo la consapevolezza del suo valore e questo è un
tratto tipicamente Cavalleresco. Il valore riconosciuto in sé è, di conseguenza, anche il
riconoscimento di un “privilegio” obbligante. Il fatto che questo
privilegio non derivi da una condizione materiale o di casta ma dalla
constatazione del proprio valore umano in quanto tale è estremamente
significativo in sé ma considerata l’epoca è decisamente straordinario.
La
Cavalleria è una condizione elitaria lo scautismo lo sarà in modo
assoluto perché universale, così che si possa dire che “lo scautismo è
elitario perché chiede a tutti molto. Si rivolge allora a tutti non a
qualche privilegiato, e vuole che tutti salgano di spessore".”*[21]
Simbolo sepolto
Forse
possiamo dire che la cesura che si è operata sul corpo della Legge
Scout [dell'AGESCI] non è stata un operazione oculata.
Dimenticando
il valore delsimbolo in educazione si dimentica che l’atto educativo è
proiettivo e che il simbolo, depositato nell’immaginario, si dischiude in
tempi
lunghi e imprevedibili ma con profondità assolute.
La
Cavalleria ha in sé un enorme carica simbolica e avere depositato per quasi
settant’anni nel cuore degli esploratori questa immagine ne aumentava il
valore.
L’idea
della appartenenza ad una corte, della “cortesia”, da sola ha la
stessa carica simbolica? Di fronte all’Abisso le elementari doti di
galateo, di cui, per altro, i nostri ragazzi sono in genere privi,
potranno dischiudersi con la stessa potenza? I ragazzi cercheranno
comunque l’elemento simbolico a costo di assumerlo in ambiente
degenerato.
La
grande arte del capo è quella dei “tempi”: suscitare il
simbolo alla radice di questa ricerca è la necessità educativa.
Occorre
però aver presente che il simbolo va “ritrovato” e mai inventato, il
simbolo c’è: occorrono occhi che lo vedano, orecchie che lo sentano.
Nei
loro giochi di ruolo, nei loro draghi, nelle croci che portano al collo
il simbolo è inesorabilmente ancora lì nel cuore dei nostri. Un
educatore può farne a meno?
B.-P.
lo avrebbe afferrato e lo ha fatto, noi non possiamo lasciarlo cadere.
Fabio M. Bodi o.p.
Grazie
al capo scout, Piero Gavinelli, a Giovannella Baggio e alla segreteria centrale
AGESCI per la testimonianza ed i riferimenti.
[1] Bushido (via del guerriero) inizialmente pratica Giapponese di devozione militare al feudatario in base all’etica Confuciana ed in seguito estesa a tutta la popolazione nel rapporto tra i sudditi ed il Tenno (imperatore).
[2] 1 Lettera ai Corinzi-15,56 Os- 13,14
[3] Martin Buber “Il cammino dell'uomo” Edizioni Qiqajon 1990*1
[4] "Estote Parati" (rivista capi ASCI) 1974 - Atti del Consiglio Generale vengono modificate Legge e Promessa Lupetto, p.19 del n°4-5. [Nell'AGESCI; l'FSE italiana nel 1976, al suo nascere, conserverà l'articolo 5° della Legge nella versione ASCI: "Lo Scout è cortese e cavalleresco"]
[5] "Estote Parati" 1975, Proposta Educativa (rivista capi AGESCI) n.3 del 1976;Proposta Educativa n.6 del 1977
[6] Proposta Educativa (rivista capi AGESCI), 1/1976
[7] Eton piccola città del Buckinghamshire (G.B.) dove ha sede uno dei collegi più tradizionali ed esclusivi del Regno Unito
[8] Robert Kee
[9] Marc Augé
[10] plásma: dal greco forma, cosa plasmata
[11] Assasi, o assassini o hashiscin (fumatori di hashis) setta mussulmana originariamente Ismaelita, con carattere terroristico, operante tra l’XI e il XIII sec.
[12] Ernst
Jünger "Il nodo di Gordio" Il Mulino Marzo 1987
[13] Bernard Lewis "Il medio oriente duemila anni di storia" Mondadori 1996
14 “nodo di Gordio”: nodo mitico che, se sciolto, avrebbe permesso il dominio dell’oriente. Alessandro, nella leggenda, lo recide con un colpo di spada, unendo atteggiamenti umani contrapposti come da un lato l’ermetismo, l’arcano, la magia, la sacralità del sapere e del potere e dall’altro lo spirito libero, la circolazione delle idee, la mobilità, un potere temperato dalla ratio e dal diritto. Secondo Hans Jonas l’imposizione del cosmopolitismo greco in oriente, ad opera di Alessandro Magno, avrebbe generato quella corrente gnostica così devastante per l’occidente.
[15] Tommaso d'Aquino
[16] Mendicanti: istituto di vita consacrata tipico del basso medio evo. Sono mendicanti, tra gli altri, i Domenicani, i Carmelitani, i Trinitari, i Mercedari, i Servi di Maria, i Francescani. Il termine “mendicante” si riferisce sì alla condizione di particolare povertà degli istituti ma soprattutto alla mendicità del loro lavoro nella precarietà delle nuove condizioni urbane in contrapposizione al lavoro monastico, considerato stabile e autarchico.
[17] Iosif Brodskij " Fuga da Bisanzio" Adelphi 1988
[18] Lévi-Strauss
[19] San Benedetto regola, IV-47 "Avere ogni giorno presente davanti agli occhi la imminenza della morte" (Mt 24, 42 ss.)
[20] Kénosi in greco vuoto, sulla base di Fil 2,7 ha assunto un significato legato all’assunzione della condizione umana di Cristo. Questo atto di abbassamento è un modello penitenziale.
[21]P. Marie Denys Forestier o.p.