INIZIO


LA FINE DEL “CAVALLERESCO”

(versione integrale)  

 

Ringraziamo l'autore per averci inviato questa interessante e approfondita analisi sulla "fine del Cavalleresco" in alcuni ambienti dello Scautismo cattolico. Il testo scritto da  Fabio M. Bodi, e pubblicato dalla rivista "Servire",  viene riprodotto in questa pagina in un versione "integrale", ma è possibile leggere la "versione ridotta" collegandosi al "link"  di seguito indicato.

Zeb

 

Vedi la "VERSIONE RIDOTTA"

   di  Fabio M. Bodi o.p.  

«lo scautismo è elitario perché chiede a tutti molto.

Si rivolge allora a tutti non a qualche privilegiato, 

e vuole che tutti salgano di spessore».

          P. Marie Denys Forestier o.p.  

 

Sepoltura di un Cavaliere

Nello scautismo che ho frequentato io si dava un grande peso all’idea della Cavalleria. Non era un ambiente aristocratico, i nostri capi erano per lo più  provenienti da scuole tecniche e non c’erano grossi discorsi al proposito.

Tutti frequentavamo la palestra di Ju-do e più che all’aspetto sportivo eravamo piuttosto attenti al Bushido*[1] per il suo codice etico così vicino all’idea che ci eravamo fatti della Cavalleria.

Per la verità l’idea di Cavalleria Giapponese è profondamente diversa:
vivendo loro il senso della vergogna, invece del senso di colpa hanno proiezioni etiche quasi opposte alle nostre. Ma restava il fatto che la disciplina, l’umiltà e la dignità nella morte ci impressionavano molto riconoscendone virtù proprie della nostra tradizione Cavalleresca.

Il Capo Riparto lo incontravo nella sede scout ed in palestra. Una parte dell’allenamento consisteva nel portare sacchi di carbone nelle soffitte dei vecchietti del centro, per le suore vincenziane ed anche questo entrava in un codice di Cavalleria, scout, per il quale si era “forti” per essere utili.

Vent’anni dopo seppi che il mio Capo, per quanto fossi ormai un... “ometto” era comunque sempre il mio capo, aveva sei mesi di vita. Era la persona che mi aveva dato una delle cose più importanti della mia esistenza: la Promessa. Ma mi aveva anche insegnato a guidare l’auto, mi aveva mostrato un volto particolare della Carità, da lui avevo imparato in quale punto dovevo generare il Kiai nello sforzo del combattimento.

In modo assolutamente inopportuno, per una persona normale, mi presentai a casa sua e mangiammo insieme. Non parlò mai di sé, come se l’abisso che gli si apriva innanzi non fosse che un accidens del tutto insignificante. Per tutto il pomeriggio chiacchierammo invece di questioni mie, a quell’epoca ero appena rimasto solo con mia figlia che aveva due anni.

Il Cavaliere fa sue le parole di Paolo: “dov’è morte il tuo pungiglione?”*[2]; il Graal, simbolo della Grazia che travasa, non lo trova il migliore (Lancillotto) ma il più piccolo (Parsifal) perché nessuno entra nel Regno se non è piccolo. Avevo di fronte a me un “piccolo”, totalmente dimentico di sé come lo sono i piccoli e con due occhi grandi, come quelli delle icone, aperti sul creato.

Non so se seppellimmo un santo-guerriero, certo abbiamo rimandato a Dio un Cavaliere: niente di più che un Uomo, che aveva stima di sé tanto da “non sbirciare mai fuori di sé, non sbirciare mai dentro gli altri, non pensare mai a sé stesso”*[3]. Quest’uomo che mi ha insegnato a cucinare sul fuoco e non gelarmi i piedi forse, forse!, mi ha anche insegnato a morire. Perché poi è questa alla fine l’essenza di quel codice di Cavalleria che è nella legge, una cosa che non si può dire ad un ragazzo ma che il tempo aprirà da sé dischiudendo quell’immagine potentissima, depositata in lui, che è la Cavalleria.

Abbattimento

Ma la Cavalleria muore, uccisa dalla modernità, la Cavalleria declina e sembra morire, ogni volta definitivamente.

Anche noi [nell'AGESCI] la Cavalleria l’abbiamo abbattuta: per lo scautismo cattolico [dell'AGESCI] la Cavalleria finisce nella primavera del 1974 con la soppressione di parte dell'articolo quinto della Legge Scout *[4].

 Nel 77*[5] viene pubblicato in forma definitiva l'attuale testo [AGESCI].

Resta tra i vecchi scout il vezzo di ricordare che comunque: «Noi s’è fatta la Promessa nell’ASCI».

L’idea della Cavalleria non era presente nella Legge delle Guide [AGI] e una
Legge comune doveva essere adattata. D’altro canto per chi ricorda quei tempi altre sembravano le questioni importanti. Non va dimenticato che negli stessi anni si dibatte sulla totale autonomia dell’Associazione dalla Gerarchia ecclesiastica portando la questione ai voti del Consiglio Generale*[6] [AGESCI].

Legge

La Legge Scout è una serie propositiva di “habitus” positivi. Non vi sono divieti: sono imperativi etici tutti da reinventare prima nella vita del ragazzo e poi dell’adulto. In questa prospettiva lo spirito della Cavalleria in un certo modo vi fa eccezione.

La Cavalleria, così come qui è intesa, esiste storicamente. Per quanto risponda ad una idealità astratta, nella sua realtà ha una contingenza ben identificabile. Esso è, dunque, sia un simbolo che un ideale incarnato nei confronti del quale situarsi è un po’ più complesso. In generale la Legge Scout presenta già ad ogni articolo aspetti del carattere Cavalleresco: la lealtà, la fraternità, la purezza e tutti gli altri articoli sono di per sé espressioni di questo spirito. Ne fa eccezione l’articolo nove sulla laboriosità e l’economia, frutti di una spirito borghese che poco ha a che vedere con l’ideale dalla Cavalleria.

Eton

Ma va rilevato che Baden-Powell toglie l’ideale della Cavalleria alle esclusive leve di Eton*[7] per inviarlo nelle più modeste borgate popolari. È il figlio della piccola borghesia a ricevere l’investitura a cavaliere, più raramente persino il diseredato della periferia. Con questo B.-P. compie un gesto a suo modo clamoroso: siamo, non va dimenticato, in una società dove la distanza sociale è abnorme e tale sarebbe restata a lungo senza la tragedia della Grande Guerra [la Prima Guerra Mondiale].

Gli immani campi di sterminio, che saranno le trincee del '14-'18,*[8] spazzeranno via costumi secolari. Dopo il millenovecento-diciotto nulla sarà più come prima ma i prodromi di questo rivolgimento sono già presenti dall’inizio della modernità con l’inarrestabile processo di individualizzazione, di diffusione delle informazioni e delle immagini*[9].

Va riconosciuta a B.-P. una notevole capacità di cogliere indizi ed elaborarli in percorsi originali. 

B.-P. individua il saliente della guerra e la sua portata, concruda lucidità ed in modo assolutamente notevole se si rapporta alle quasi nulle capacità analitiche della classe militare dell’epoca (ma un eccezione va fatta per la Germania).

Società Vittoriana

B.-P. non era un aristocratico ed aveva vissuto la maggior parte della sua vita a contatto con culture molto diverse dalla sua e questo gli permette di intravedere la fine della società Vittoriana senza rimpianti.

Nel contempo B.-P. non è affatto incline ad un “progressismo” di maniera e si rende conto che quella stessa società, che va a finire, custodisce valori da salvare. Il modello Cavalleresco è, in questo senso, un archetipo umano proprio dell’occidente di indubbie qualità.

Su questo ideale è sopravvissuta e si è sviluppata gran parte della storia Europea. B.-P. universalizza questo “plásma”*[10] togliendolo al mondo chiuso dell’aristocrazia e coniugandolo alle più duttili classi sociali a cui lo scautismo si rivolge e lo fa con un certo successo, anche in forza della grande capacità di suggestione di codesto modello.

L’ideale della Cavalleria era stato, almeno fino ad una fase avanzata della modernità, assolutamente incomprensibile al di fuori della cerchia aristocratica.

B.-P. coglie bene il suo tempo facendo, tra i primi, una cosa che prima non si sarebbe potuta fare ed estende a tutti qualcosa fino allora esclusivo. Questa capacità di universalizzare un valore, cogliendone la potenza al di là del suo contesto originario, è mancata invece alla nostra associazione [AGESCI] nel '74?

Negli anni settanta quel modello di valore appartenente solo al mondo maschile poteva divenire un patrimonio comune, poteva, così come fece B.-P. all’inizio del secolo, essere ulteriormente universalizzato estendendolo all'altra “metà del cielo”.

Radici

Detto questo resta da dire cos’è la Cavalleria o per lo meno quello spirito Cavalleresco per il quale, almeno fino al 1974, abbiamo impegnato una grande parte del nostro tessuto etico. 

Dai trovatori alla letteratura romantica l’idea della Cavalleria ha un enorme riscontro artistico. Questa produzione ha avuto una diffusione così vasta da essere conosciuta anche da chi i libri li frequenta poco. 

Dal teatro dei pupi al cinema, dalla narrazione popolare ai giochi di ruolo, libri come l’Orlando furioso, il don Chisciotte, il Cirano, le Canzoni di gesta, Ivanhoe ed altri infiniti testi hanno percorso tutta la storia d’Europa da sud a nord, dalla fine dell’impero, all’era post-industriale, prodotte in ogni epoca e in ogni latitudine e universalmente metabolizzate. Questo profondissimo radicamento storico, geografico e culturale è di per se un patrimonio straordinario, un deposito simbolico da cui l’occidente ha, nella crisi, attinto a piene mani.
Solco

Qui accanto c’é l’immagine di una scultura di Calandra che rende bene le parole di Carducci sulla Cavalleria: "...un ideale di perfezione morale sociale e militare a cui si poteva aspirare liberamente e prendevasi più o meno sul serio secondo le varie condizioni dell'anima e della vita propria”.

La grande produzione di opere sul tema Cavalleresco ha scavato profondamente l’universo fantastico dell’uomo occidentale lasciandone un solco indelebile e prova ne è il successo planetario di un tomo sterminato come “Il Signore degli anelli” che dagli anni sessanta ad oggi è, ininterrottamente, culto di ambienti assolutamente opposti come il movimento “Hippie” o la “Nouvelle droite” ed in ultimo il mondo cattolico.
Storia

Per quanto la Cavalleria esista ancora oggi e, in certo modo, sia esistita già in epoca Franca, occorre però porre storicamente questo movimento nei secoli del basso medio evo. Per capirne lo spirito e le ragioni dobbiamo avere la pazienza di cogliere almeno parte del suo percorso storico perché solo attraverso questo possiamo comprendere con quale profondità e radicata la nostra idea di uomo nell’ideale Cavalleresco.
Arii

L'incontro e lo scontro che il mondo latino, di fine impero, ha con la migrazione Germanica, cambia l’assetto sociale Europeo, assestando quella disgregazione in atto da alcuni secoli. Il mondo del diritto (l’Impero) e il mondo del legame dinastico (la tribù Germanica) producono nel conflitto la società feudale e Cavalleresca.

Attraverso la costituzione delle corti e della “cortesia” si imporranno quei modelli unificanti che saranno alla base della società medioevale. La corte di fatti, nel suo assetto militare, culturale e religioso è lo strumento di unificazione nazionale.

Dalla corte si irradia la formazione intellettuale, l’unificazione liturgica e persino i modelli musicali come nel caso del Gregoriano e dunque anche il modello Cavalleresco.

Oggi la sola idea che questo ambiente potesse consumare oltre la metà delle risorse dello Stato fa orrore ma la competizione tra potere centrale e poteri marginali avveniva su questo campo e le aristocrazie locali, dovendo competere sul terreno della corona nelle corti, diminuivano di fatto il loro potenziale concorrente. Spesso le feudalità periferiche dissanguavano, in questa competizione, enormi risorse in un conflitto, non poi così diverso dalla cripto politica delle nostre borse. 
Odori

Questo è l’ambito in cui si produce la “cortesia” ovvero il modello comportamentale unitario attraverso il quale dovremo riconoscere l’altro come simile a noi rigettando viceversa come “barbarico” il comportamento eccentrico. Può sembrarci curioso che ancora a Versailles, in cui vige un etichetta rigorosamente formale non vi sono norme per l’evacuazione corporale e non vi sono veri e propri cessi per farlo. Le nostre buone maniere in fondo si producono in un ambiente di cui non avremmo potuto sopportare nemmeno l’odore.

Uomo-cavallo

La “cortesia” dunque è la cultura da cui emerge quell’idea di Cavaliere tipizzante l’occidente. Ma in origine un uomo armato ed il suo cavallo non sono altro che un uomo e un cavallo. Di lui si può dire crudamente che non è altro che un criminale a cui la Chiesa e il nuovo Impero cercano di fornire un modello comportamentale meno devastante e nel contempo definirlo romanticamente.

Va detto che la Cavalleria, come funzione militare, esiste nelle legioni romane come tra i Parti o i Cinesi. Essa è intesa come massa d’urto o come unità incursiva ed esplorativa ma la sua strutturazione medioevale supererà di molto la
mera funzione militare per divenire un modello etico unico e non raffrontabile con altre espressioni simili come il Bushido o l’ordine degli Assasi*[11].

 Alla base di questo codice c’è un riconoscimento di sé altissimo in cui “la norma comportamentale si manifesta quando il guerriero incontra un avversario che nutre gli stessi principi; tuttavia egli osserverà le usanze anche quando ne incontra uno senza quei principi, e ciò per il rispetto che ha di se stesso”*[12].

Uomo-occidente

Il Cavaliere coniuga in sé, insieme ad una pulsione aggressiva, una valenza solidaristica, ospedaliera, e bancaria che unita, in seguito, alla funzionalità dell’idea borghese di libertà e di mercato, darà modo all’occidente di forgiare quel modello d’uomo che gli permetterà di conquistare il mondo prima e di pentirsene poi. 

Questa avventura dell’occidente moderno la descrive bene Lewis quando dice: "Accingendosi a conquistare, soggiogare e spogliare altri popoli, gli europei seguivano semplicemente l'esempio dato dai loro vicini e predecessori e
anzi si conformavano alla comune prassi dell'umanità...

Il quesito interessante da porsi non è perché provarono, ma perché ci riuscirono e come mai, essendovi riusciti, si pentirono del loro successo come se fosse stato un peccato. Quel successo fu l'unico nell'evo moderno; quel pentimento unico nella storia"*[13]

Cavaliere a “Oriente”

Se per alcuni aspetti questa è una visione un po’ cruda e comunque antiromantica della Cavalleria, occorrerà anche riconoscere che questa modalità di uomo, il Cavaliere, tipizza l’occidente non solo nei suoi aspetti più duri. C’è in questo archetipo una base positiva che possiamo ben cogliere là dove si va a sciogliere quel “nodo di Gordio”*14
delimitante le diversità tra oriente e occidente. Questo dato, che può anche non piacerci, vien fuori ogni volta che affrontiamo il confronto con una cultura per così dire “orientale”. In questo confronto dobbiamo riconoscere come nostri alcuni modelli e rigettarne inevitabilmente altri.
Onta

Per il soldato dell’Impero Romano era onta, come ancora oggi, sopravvivere alla caduta dell’insegna, per il guerriero Germanico era onta sopravvivere alla morte del capo. L’una è simbolo di Roma intesa come stato e Lex, fuori dalla quale tutto e buio e kaos, l’altro è simbolo di legame tribale, senso dell’unione personale, fuori del quale non è dato il riconoscimento dell’altro come umano. La fusione di questi due aspetti all’insegna della mediazione Ecclesiale formerà quegli uomini che permetteranno all’occidente prima di sopravvivere a condizioni affatto disperanti e poi di imporsi totalmente. C’è alla base di questo uomo quella nozione di persona, praticamente sconosciuta prima del concilio di Costantinopoli*[14], che troverà nelle tribù ariane un terreno più fertile che non nell’assolutismo dell'impero.

Diritto

Questa figura di Cavaliere è funzionale alla diffusione di quella nozione di persona che, unita all’applicazione del Diritto, sarà la caratteristica propria dell’Europa e dell’occidente.

Il diritto è nella scolastica “ordinamento della ragione per il bene comune” *[15] e possiamo ben dire che questa è un’idea basilare per lo sviluppo della società.
Monaci in armi

Con la prima crociata questa Cavalleria di cui si parla prende forma compiuta ed è su questo terreno che si sviluppa l’aspetto più profondamente religioso di questo movimento collettivo.

Gruppi di Cavalieri entrando nei monasteri riformati ne cambieranno profondamente l’aspetto come nel caso di Bernardo a Citeaux e a Clairevaux. Si darà anche il caso di vere e proprie fondazioni mendicanti*[16] come nel caso del Carmelo o di ordini cavallereschi divenuti solo in seguito mendicanti.

Veri e propri ordini di Cavalleria, regolari e con caratteristiche monastico-militari, si costituiscono comunque in Europa e in terra Santa.

Banco

La loro vocazione di confine sarà, insieme alla loro estrema duttilità, determinante per le esigenze della Cristianità. I Templari finanzieranno centinaia di cantieri gotici in tutta l’Europa continentale, dando un impulso fondamentale all’economia del duecento. Altri diventeranno una vera e propria potenza navale come i cavalieri di Malta, istituto questo tuttora esistente. Occorre inoltre pensare che le foresterie Templari permettevano nuovamente la percorribilità delle strade anche a contingenti privati, con un enorme vantaggio per il mercato.
Quest’ordine ha avuto un peso enorme nella bonifica di nuove terre agricole, nella custodia e nella diffusione delle semenze e delle derrate eccedenti favorendo così quello sviluppo demografico interrotto con la caduta dell’impero.

I Cavalieri sono monaci che, attraverso l’uso di uno strumento innovativo come la lettera di cambio, producono i fondamentali dell’economia Europea.

Missione

C’è dunque nel cavaliere un senso della propria missione particolare ed una fiducia nelle proprie capacità associative molto materiale. A questo si deve però aggiungere un tratto mistico molto forte. Come ogni organizzazione umana la Cavalleria presenta anche aspetti meno limpidi.
Non è questa la sede per parlarne ma va detto almeno che per giudicare occorre collocare ogni cosa in modo storico e saperla comparare all’ambiente in cui questa vive. In molte occasioni le organizzazioni Cavalleresche furono oggetto di feroci ostilità come nel caso di Filippo il Bello che distrusse selvaggiamente l’Ordine a suo esclusivo vantaggio. La soppressione dell’ordine dei Templari fu “il più grave cataclisma della civiltà occidentale” (Michelet) e “la negazione più
vergognosa della giustizia” (Dailliez).

Islam

La cavalleria cristiana trova la sua contrapposizione più forte e più continua nell’Islam; in questo contrasto produce aspetti propri del suo e, per conseguenza, del nostro carattere. C’è in questo fatto una certa attualità. Oggi, il giorno in cui sto scrivendo, è l’undici Settembre ed è come se si celebrasse la battaglia di New York. In questa tragedia la Cavalleria vi è del tutto assente. Ma a Poitiers, ad Ascalona, ad Acri, a Las Navas, in Kossovo, a Granada, Rodi, Mohacs, Vienna, Malta e a Lepanto la Cavalleria c’era ma c’era anche nelle innumerevoli transazioni commerciali, negli scambi, nei ghetti Genovesi e Veneziani, nelle contrattazioni diplomatiche. Se tra Islam e Cristianità non c’è
stata una vera simpatia non significa che ci si sia sempre ammazzati. 
Certamente ci sono state grandi giornate di sangue ma anche un millennio di rapporti di mutuo vantaggio. Non occorre essere amici per scambiarsi merci e nozioni, ne occorre essere amici per riconoscersi.

Fatah

Nel “Novellino” del XIII sec. si racconta che il Saladino chiese ad un suo prigioniero, il barone franco Hugues de Tabarie, di essere creato cavaliere. L’avvenimento per quanto non storico si concilia con il carattere magnifico e la grandezza del Saladino. Il racconto è comunque rappresentativo di una serie di scambi tra antagonisti piuttosto complessa e ricca.

Nella tradizione Islamica esiste una forma di Cavalleria, la Futuwat, ma non è possibile un identificazione tra le due correnti poiché il Fatah (cavaliere) è prevalentemente un mistico. Di fatto lo sviluppo complesso di un modello umano quale quello del Cavaliere necessita di una libertà e di una varietà di modi che
l’applicazione rigida di un corpo legislativo come il Corano, diretta promanazione letterale del Divino, non permette e se la soppressione dei Templari resta in Europa un fatto mostruoso, contravvenente ad ogni principio religioso e civile, la persecuzione e la dispersione degli Assasi rientra nella assoluta legittimità della applicazione di leggi rigidamente divine. “Se ad Atene Socrate poteva essere processato pubblicamente e poteva pronunciare interi discorsi, tre discorsi!, in
propria difesa, a Isfahan, mettiamo, o a Bagdad, un Socrate sarebbe stato impalato seduta stante, impalato o flagellato, e tutto sarebbe finito li. Non ci sarebbero stati dialoghi platonici, ne neoplatonismo, niente: infatti non ci furono. Ci sarebbe stato solamente il monologo del Corano: infatti ci fu”*[17].

Agonia

Con la battaglia di Lepanto, che segna l’inizio di una fase discendente della potenza Islamica, inizia anche il declino della Cavalleria cristiana. Questa figura di uomo descritta da Bernardo di Chiaravalle nella sua estrema sobrietà, compreso da un alto ideale etico, vincolato da legami di lealtà personali assoluti, ispido e severo non ha spazio nella modernità. La modernità è, per così dire, epoca delle “fanterie”, delle “masse” in cui l’individuo ha un posto sempre più limitato. L’uomo della Cavalleria non è un uomo “collettivo”, anche inserito in un Ordine mantiene intatta la sua assoluta identità personale. La stima che ha di
sé lo fa sentire al di sopra della folla, lo mantiene nel sentimento della propria missione. Possiamo come uomini moderni sentire simpatia più per le fanterie di arcieri di Azincurt che per i tronfi Cavalieri francesi, possiamo soffrire per i contadini di Frankenhäusen massacrati dai terribili Cavalieri Luterani ma equanimemente non possiamo non riconoscere alla Cavalleria il merito di aver cercato un sogno e di averci lasciato un mito

Naufraghi

Gli uomini capaci di viverne lo spirito dopo il medio evo sono come dei naufraghi. La Cavalleria ha nel medio evo e nell’aristocrazia il suo habitat e man mano che l’Europa ne esce ne viene a mancare la cultura ovvero quell’insieme di dati simbolici, “quali il linguaggio, le regole matrimoniali, i rapporti economici, l'arte, la scienza, la religione"*[18]. L’agonia di questo mondo è comunque lenta e non basterà ne la rivoluzione Francese, ne la rivoluzione Americana a terminarla.

Soluzioni

Così come è difficile parlare della Cavalleria senza cadere nel romanticismo o nell’essoterismo, altrettanto difficile è parlare del suo crollo finale. Lo fa Joseph Roth nella “Cripta dei cappuccini” o nella “Radetzkymarsh”, lo fa Jean Renoir ne "La Grande illusione” e qualcuno forse ricorderà quel dialogo, accanto all’unico fiore della fortezza, tra i due ufficiali aristocratici von Rauffenstein e de Boïeldieu:

_Un Maréchal o un Rosenthal ufficiali?

_Ottimi soldati

_Si sono i regali della rivoluzione francese

_ Credo che ne Voi ne io si possa arrestare la marcia del tempo

_Davvero? Io ignoro come andrà a finire questa guerra ma so che comunque
porterà la fine dei Rauffenstein e dei de Boïeldieu

_ Forse il mondo non ha più bisogno di noi

_ E non trovate che sia un peccato?

_Può darsi

   

Il distacco e la tristezza di queste parole, comunque sprezzanti verso i prodotti umani della modernità, Maréchal è un tecnico e Rosenthal il figlio di banchieri ebrei, esprimono meglio di tanti trattati il senso di questa caduta.

La confidenza sul letto di morte di de Boïeldieu, fatta al suo avversario che come lui è aristocratico e “Cavaliere”, è quanto mai significativa mostra quanto di peggio la “Cavalleria” abbia espresso nella sua decadenza: «Per un uomo del popolo è terribile morire in guerra ma per me e per voi è una buona soluzione».

L’Amore

Questa idea della morte cruenta come meta ideale del cavaliere è una eredità del paganesimo nordico che segna in negativo specialmente l’Ordine Teutonico. Il culto della morte, quel culto residuale che troviamo anche in alcuni ambienti fanatici del novecento, è però una degenerazione di un aspetto che, tipicamente cristiano, segna invece positivamente la vita religiosa.

Il motto “mortem cotidie ante oculossuspectam habere”*[19] così tipico della spiritualità cristiana non è affatto una patologia necrofila ma l’atto interiore attraverso il quale si colloca la propria esistenza nella contingenza temporale. Questo stato di coscienza dà all’esistenza il suo senso compiuto ed alle nostre azioni il loro esatto valore. Questa consapevolezza restituisce, per altro, al nostro esistere una pienezza che è un atto di amore verso la vita stessa.

Privilegi

Se il senso dell’imminenza è il senso caratteristico di ogni vita cristiana questo però si attua diversamente per ogni stato. E sarà un diverso sentire quello del monaco o del laico.  

Il Cavaliere, nel suo stato di guerriero e monaco, ha una spiritualità sua che  nell’iconografia è espressa nel san Giorgio. Ciò che lo distingue è il privilegio della sua condizione ed il dovere di onorarla.

Il Cavalierato è, in fatti, una condizione di assoluto privilegio: l’onore dovuto a codesta condizione è il sacrificio di sé usando del proprio privilegio coerentemente alla propria missione. Il dragone è, nella vita interiore, la pulsione a usare il vantaggio della propria condizione ad esclusivo vantaggio di sé. L’immagine del drago è abissale ed è immagine della morte, la sola in grado di motivare la kénosi*[20] necessaria al compimento di un Cavaliere.

Legge, morte

B.-P. nel codificare il “Cavalleresco” non dice nulla di tutto questo, e sarebbe assurdo tentare di dirlo ad un adolescente ma usa un simbolo che dischiudendosi nelle varie età del ragazzo aprirà i suoi significati volta per volta con spessore diverso.

 Pone invece chiaramente al ragazzo la consapevolezza del suo valore e questo è un tratto tipicamente Cavalleresco. Il valore riconosciuto in sé è, di conseguenza, anche il riconoscimento di un “privilegio” obbligante. Il fatto che questo privilegio non derivi da una condizione materiale o di casta ma dalla
constatazione del proprio valore umano in quanto tale è estremamente significativo in sé ma considerata l’epoca è decisamente straordinario. 

La Cavalleria è una condizione elitaria lo scautismo lo sarà in modo assoluto perché universale, così che si possa dire che “lo scautismo è elitario perché chiede a tutti molto. Si rivolge allora a tutti non a qualche privilegiato, e vuole che tutti salgano di spessore".”*[21]

Simbolo sepolto

Forse possiamo dire che la cesura che si è operata sul corpo della Legge Scout [dell'AGESCI] non è stata un operazione oculata.

Dimenticando il valore delsimbolo in educazione si dimentica che l’atto educativo è proiettivo e che il simbolo, depositato nell’immaginario, si dischiude in tempi lunghi e imprevedibili ma con profondità assolute.

La Cavalleria ha in sé un enorme carica simbolica e avere depositato per quasi settant’anni nel cuore degli esploratori questa immagine ne aumentava il valore.

L’idea della appartenenza ad una corte, della “cortesia”, da sola ha la stessa carica simbolica? Di fronte all’Abisso le elementari doti di galateo, di cui, per altro, i nostri ragazzi sono in genere privi, potranno dischiudersi con la stessa potenza? I ragazzi cercheranno comunque l’elemento simbolico a costo di assumerlo in ambiente degenerato.

La grande arte del capo è quella dei “tempi”: suscitare il simbolo alla radice di questa ricerca è la necessità educativa.  

Occorre però aver presente che il simbolo va “ritrovato” e mai inventato, il simbolo c’è: occorrono occhi che lo vedano, orecchie che lo sentano.

Nei loro giochi di ruolo, nei loro draghi, nelle croci che portano al collo il simbolo è inesorabilmente ancora lì nel cuore dei nostri. Un educatore può farne a meno?

B.-P. lo avrebbe afferrato e lo ha fatto, noi non possiamo lasciarlo cadere.

  Torino 11 settembre 2002 

                                        Fabio M. Bodi o.p.

 

Grazie al capo scout, Piero Gavinelli, a Giovannella Baggio e alla segreteria centrale AGESCI per la testimonianza ed i riferimenti.

Vedi la "VERSIONE RIDOTTA"

 

INIZIO


[1] Bushido (via del guerriero) inizialmente pratica Giapponese di devozione militare al feudatario in base all’etica Confuciana ed in seguito estesa a tutta la popolazione nel rapporto tra i sudditi ed il Tenno (imperatore).

[2] 1 Lettera ai Corinzi-15,56 Os- 13,14

[3] Martin Buber “Il cammino dell'uomo” Edizioni Qiqajon 1990*1

[4] "Estote Parati" (rivista capi ASCI) 1974 - Atti del Consiglio Generale vengono modificate Legge e Promessa Lupetto, p.19 del n°4-5. [Nell'AGESCI; l'FSE italiana nel 1976, al suo nascere, conserverà l'articolo 5° della Legge nella versione ASCI: "Lo Scout è cortese e cavalleresco"]

[5] "Estote Parati" 1975, Proposta Educativa (rivista capi AGESCI) n.3 del 1976;Proposta Educativa n.6 del 1977

[6] Proposta Educativa (rivista capi AGESCI), 1/1976

[7] Eton piccola città del Buckinghamshire (G.B.) dove ha sede uno dei collegi più tradizionali ed esclusivi del Regno Unito

[8] Robert Kee

[9] Marc Augé

[10] plásma: dal greco forma, cosa plasmata

[11] Assasi, o assassini o hashiscin (fumatori di hashis) setta mussulmana originariamente Ismaelita, con carattere terroristico, operante tra l’XI e il XIII sec.

[12] Ernst Jünger "Il nodo di Gordio" Il Mulino Marzo 1987

[13] Bernard Lewis "Il medio oriente duemila anni di storia" Mondadori 1996

14 “nodo di Gordio”: nodo mitico che, se sciolto, avrebbe permesso il dominio dell’oriente. Alessandro, nella leggenda, lo recide con un colpo di spada, unendo atteggiamenti umani contrapposti come da un lato l’ermetismo, l’arcano, la magia, la sacralità del sapere e del potere e dall’altro lo spirito libero, la circolazione delle idee, la mobilità, un potere  temperato dalla ratio e dal diritto. Secondo Hans Jonas l’imposizione del cosmopolitismo greco in oriente, ad opera di Alessandro Magno, avrebbe generato quella corrente gnostica così devastante per l’occidente.

 

[15] Tommaso d'Aquino

[16] Mendicanti: istituto di vita consacrata tipico del basso medio evo. Sono mendicanti, tra gli altri, i Domenicani, i Carmelitani, i Trinitari, i Mercedari, i Servi di Maria, i Francescani. Il termine “mendicante” si riferisce sì alla condizione di particolare povertà degli istituti ma soprattutto alla mendicità del loro lavoro nella precarietà delle nuove condizioni urbane in contrapposizione al lavoro monastico, considerato stabile e autarchico.

[17] Iosif Brodskij " Fuga da Bisanzio" Adelphi 1988

[18] Lévi-Strauss

[19] San Benedetto regola, IV-47 "Avere ogni giorno presente davanti agli occhi la imminenza della morte" (Mt 24, 42 ss.)

[20] Kénosi in greco vuoto, sulla base di Fil 2,7 ha assunto un significato legato all’assunzione della condizione umana di Cristo. Questo atto di abbassamento è un modello penitenziale.

[21]P. Marie Denys Forestier o.p.  

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