Il dono di essere Capo
dell'Abbazia di
Sant'Antimo
Anzitutto voglio
approfittare di
questa pagina per ringraziare Mons. Arrigo Miglio
[N.d.W. nel 1997 Assistente ecclesiastico centrale dell'AGESCI] di
aver dato l’opportunità alla Comunità di Sant'Antimo di partecipare alla
Route nazionale (delle comunità capi Agesci) ai Piani di
Verteglia.
L’accoglienza riservata
dall’Agesci
è stata veramente apprezzata dai Padri.
La messa della Route nazionale
radunava - in una conca di camicie azzurre - circa 1200 capi attorno a Cristo,
unico Maestro di Vita Eterna:
«Signore da chi andremo? Tu hai parole
di vita eterna» (Gv. 6, 68). La preghiera del Padre
Nostro, cantata insieme, mi ha particolarmente sensibilizzato: braccia tese
verso il cielo, mani aperte come mendicanti, questi capi imploravano il
Padre. Un popolo di capi, un’assemblea di Servitori, una comunità di
educatori supplicava il Padre di custodire dal Male la loro
associazione e
tutti i ragazzi a loro affidati.
Siamo coscienti del dono straordinario
che il Padre ci ha fatto?
Essere educatori, cioè portare i nostri
ragazzi a scegliere per diventare adulti. Sì, essere educatori è il più bel
“mestiere” che può esistere su questa terra, perché è gratuito,
perché nasce dall’amore e porta all’Amore che è Cristo.
Ma di fronte a un tale
dono, quanti
ostacoli? Sono infiniti, abbastanza per scoraggiare il più valoroso. Quali
sono? Anzitutto, i nostri limiti, i nostri stessi sbagli, i nostri
litigi in staff o in comunità capi, che rovinano tutto.
Certo, non è bello, non è un esempio,
ma gli ostacoli sono fatti per essere superati.
Non dobbiamo
dimenticare che il bene
dei nostri ragazzi vale molto di più che tutti i nostri errori. E poi, anche
deboli, Dio ha bisogno di noi come servitori e profeti: “Non sono venuto
a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mt. 9,13).
Se nessuno apre o prende in mano
questo
branco, questo reparto, questo clan, come faranno questi ragazzi a non essere
trascinati dalle affascinanti tentazioni che propone il nostro secolo?
Esistono altri ostacoli che sorgono
contro la vocazione dei nostri ragazzi: il benessere che indebolisce il
carattere, il denaro, gli studi che non finiscono mai. Senza parlare della
droga,
della disperazione o del suicidio dei giovani.
Ma il peggio non è ancora
arrivato:
cioè la loro incapacità di diventare adulto, di essere responsabile della
propria vita, di farne un “capolavoro” di amore dato per sempre a
un’altra persona, di completare il progetto di Dio che ci ha creati a sua
immagine e somiglianza. E così assistiamo non di rado al pauroso precipitare
della persona umana in situazioni di auto distruzione progressiva.
Accetteremo tale situazione? Saremo
complici (a causa del nostro egoismo) della tristezza di troppi giovani?
Non è cristiano. “Gli
presentavano
dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano: Gesù, al
vedere questo, s’indignò e disse loro: “lasciate che i bambini vengano a
me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di
Dio”, (Marco
10, 13-14).
E ancora: “In verità vi dico: ogni
volta che avete fatto queste a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me" (Matteo 25,40).
Una tale urgenza dovrebbe far nascere in
noi la “passione di educare”.
Veramente abbiamo in mano uno strumento
geniale: la formidabile intuizione di B.-P., lo scautismo. È un’intuizione
di una grande semplicità e di una stupenda
attualità: questo fa il suo successo. La risposta che B.-P. dava ai ragazzi
dell’inizio del secolo deve essere data ancora oggi, cioè il suo messaggio
al servizio di tutta la persona, accolto nella sua globalità come uomo e come
cristiano:
·
l’uomo, cioè fare crescere nel
giovane il senso della responsabilità, aiutandolo nella ricerca dei valori e
dandogli la possibilità di fare scelte coraggiose verso il bene senza le
quali non si può essere felici.
·
il cristiano, cioè l’uomo che si apre
al Dono di Dio: la fede in Gesù Cristo, Salvatore dell’uomo e sorgente di
vita nuova.
In altre parole lo scout è una persona
con i piedi sulla terra (presente nel mondo in cui vive), la testa sulle
spalle (responsabile), ma gli occhi nel cielo (teso verso la felicità eterna:
Cristo).
Per raggiungere un tale scopo abbiamo
uno strumento: il metodo scout che potrebbe essere riassunto in immagine:
una casa, cioè quattro muri e un tetto.
• I muri poggiano sulla terra. Sono
i valori che fanno l’uomo e donna responsabile, cioè: la natura, la comunità,
l’impegno e il servizio;
• il tetto invece indica il
cielo.
È il valore che fa il cristiano, cioè: la fede.
Qui tutto si tiene, tutto è collegato.
I muri tra di loro e i muri con il tetto.
Un valore introduce un altro: la natura
è scelta come “luogo” prediletto di B.-P. per vivere lo scautismo (farne
a meno anche in nome del servizio, rischia di rovinare la dinamica del
metodo). La natura è grande maestra in educazione, diamole fiducia. Ma questa
natura, bella ed essenziale è a sua volta il “luogo” dove si cimenta la
comunità: la strada insieme, il gioco insieme, il bivacco insieme, la notte
insieme, la pioggia insieme, la paura insieme.
Con la Promessa il ragazzo, forse per la
prima volta della sua vita, trova l’occasione di impegnarsi per la
costruzione della propria comunità. Ma a sua volta la comunità gli viene
incontro, con le diverse responsabilità e servizi, per farlo crescere.
Infine,
la fede dà unità a tutta la persona e indica la vocazione intima dell’uomo,
cioè il suo incontro con Gesù.
Ed è qui che finisce il nostro servizio
educativo: portare il giovane a Cristo e poi... scomparire. Non possiamo
essere padroni dei nostri ragazzi, solamente servitori: è la “morte
del capo”.
Come faremo? Il continente dei giovani
è immenso... “Udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò, chi
andrà per noi?” E io risposi: «Eccomi, manda me» (Isaia
6,8).
A questo versetto faranno eco le
parole di B.-P.:
“Per me nella vita, sono le dieci di sera. Sarà presto l’ora di andare a dormire. Per te sono le undici del mattino. Hai ancora dinanzi a te la maggior parte della giornata. Per me ho avuto una giornata molto gradevole. Ha avuto le sue nubi e i suoi acquazzoni, ma anche i suoi momenti di sole splendido. Ma cosa intendi fare, tu, della tua giornata? Potrà essere altrettanto felice, se solo tu lo vorrai. Ma non lo sarà, se ti metterai a perdere tempo aspettando che qualcosa succeda o a sprecare una parte dormendo. Svegliati! Datti da fare! Hai soltanto una giornata di vita da vivere, perciò utilizzane al meglio ogni istante. Quando verrà il tempo di andare a letto, tu dormirai tanto meglio, quanto più sarai stato attivo durante la tua giornata: mentre chi ha oziato durante il giorno ha notti insonni e inquiete. La felicità è tua, purché tu guidi bene la tua canoa. Con tutto il cuore ti auguro buona fortuna e ti rivolgo l’augurio scout di un buon campo!” (B.-P.)
Scritto di Padre Stefano dell'Abbazia di Sant'Antimo
Il titolo originale era: "Il dono di essere educatore - Il capo deve saper morire"
Le fotografie a colori sono tratte dal libretto "Le comunità capi in cammino per educare nel nuovo millennio", ed. Nuova Fiordaliso