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Il dono di essere Capo

  Padre Stefano,

dell'Abbazia di Sant'Antimo 

 

Anzitutto voglio approfittare di questa pagina per ringraziare Mons. Arrigo Miglio [N.d.W. nel 1997 Assistente ecclesiastico centrale dell'AGESCI] di aver dato l’opportunità alla Comunità di Sant'Antimo di partecipare alla Route nazio­nale (delle comunità capi Agesci) ai Piani di Verteglia.

L’ac­coglienza riservata dall’Agesci è stata veramente apprezzata dai Padri.

La messa della Route na­zionale radunava - in una conca di camicie azzurre - circa 1200 capi attorno a Cristo, unico Maestro di Vita Eterna:

«Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv. 6, 68). La preghiera del Padre Nostro, cantata insieme, mi ha particolarmente sensibilizzato: braccia tese verso il cielo, mani aperte come mendicanti, questi capi imploravano il Padre. Un popolo di capi, un’assemblea di Servitori, una comunità di educatori supplicava il Padre di custodire dal Male la loro associazione e tutti i ragazzi a loro affidati.

Siamo coscienti del dono straordinario che il Padre ci ha fatto?

Essere educatori, cioè portare i nostri ragazzi a scegliere per diventare adulti. Sì, essere educatori è il più bel “mestiere” che può esistere su questa terra, perché è gratuito, perché nasce dall’amore e porta all’Amore che è Cristo.

Ma di fronte a un tale dono, quanti ostacoli? Sono infiniti, abbastanza per scoraggiare il più valoroso. Quali sono? Anzitutto, i nostri limiti, i nostri stessi sbagli, i nostri litigi in staff o in comunità capi, che rovinano tutto.

Certo, non è bello, non è un esempio, ma gli ostacoli sono fatti per essere superati.

Non dobbiamo dimenticare che il bene dei nostri ragazzi vale molto di più che tutti i nostri errori. E poi, an­che deboli, Dio ha bisogno di noi come servitori e profeti: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mt. 9,13).

Se nessuno apre o prende in mano questo branco, questo reparto, questo clan, come faranno questi ragazzi a non essere trascinati dalle affascinanti tentazioni che propone il no­stro secolo?

Esistono altri ostacoli che sorgono contro la vocazione dei nostri ragazzi: il benessere che inde­bolisce il carattere, il denaro, gli studi che non finiscono mai. Senza parlare della droga, della disperazione o del suicidio dei giovani.

Ma il peggio non è ancora arrivato: cioè la loro incapacità di diventare adulto, di essere responsabile della propria vita, di farne un “capolavoro” di amore dato per sempre a un’altra persona, di comple­tare il progetto di Dio che ci ha creati a sua immagine e somiglianza. E così assistia­mo non di rado al pauroso precipitare della persona umana in situazioni di auto distruzione progressiva.

Accetteremo tale situazio­ne? Saremo complici (a causa del nostro egoismo) della tristezza di troppi giovani?

Non è cristiano. “Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano: Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio”, (Marco 10, 13-14).

E ancora: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me" (Matteo 25,40).

Una tale urgenza dovrebbe far nascere in noi la “passione di educare”.

Veramente abbiamo in mano uno stru­mento geniale: la formidabile intuizione di B.-P., lo scauti­smo. È un’intuizione di una grande semplicità e di una stupenda attualità: questo fa il suo successo. La risposta che B.-P. dava ai ragazzi dell’inizio del secolo deve essere data ancora oggi, cioè il suo messaggio al servizio di tutta la persona, accolto nella sua globalità come uomo e come cristiano:

·                  l’uomo, cioè fare crescere nel giovane il senso della responsabilità, aiutandolo nel­la ricerca dei valori e dandogli la possibilità di fare scelte coraggiose verso il bene senza le quali non si può es­sere felici.

·                  il cristiano, cioè l’uomo che si apre al Dono di Dio: la fede in Gesù Cristo, Salvatore dell’uomo e sorgente di vita nuova.

In altre parole lo scout è una persona con i piedi sulla terra (presente nel mondo in cui vive), la testa sulle spalle (responsabile), ma gli occhi nel cielo (teso verso la felicità eterna: Cristo).

Per raggiungere un tale scopo abbiamo uno strumento: il metodo scout che potrebbe essere riassunto in immagine:

una casa, cioè quattro muri e un tetto.

I muri poggiano sulla terra. Sono i valori che fanno l’uomo e donna responsabile, cioè: la natura, la comunità, l’impegno e il servizio;

il tetto invece indica il cielo. È il valore che fa il cristiano, cioè: la fede.

Qui tutto si tiene, tutto è collegato. I muri tra di loro e i muri con il tetto.

Un valore introduce un altro: la natura è scelta come “luogo” predi­letto di B.-P. per vivere lo scautismo (farne a meno anche in nome del servizio, rischia di rovinare la dinamica del metodo). La natura è grande maestra in educazio­ne, diamole fiducia. Ma que­sta natura, bella ed essenziale è a sua volta il “luogo” do­ve si cimenta la comunità: la strada insieme, il gioco insieme, il bivacco insieme, la notte insieme, la pioggia insieme, la paura insieme.

Con la Promessa il ragazzo, forse per la prima volta della sua vita, trova l’occasione di im­pegnarsi per la costruzione della propria comunità. Ma a sua volta la comunità gli viene incontro, con le diverse responsabilità e servizi, per farlo crescere.

Infine, la fede dà unità a tutta la persona e indica la vocazione intima dell’uomo, cioè il suo incon­tro con Gesù.

Ed è qui che finisce il nostro servizio edu­cativo: portare il giovane a Cristo e poi... scomparire. Non possiamo essere pa­droni dei nostri ragazzi, so­lamente servitori: è la “mor­te del capo”.

Come faremo? Il continen­te dei giovani è immenso... “Udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò, chi andrà per noi?” E io risposi: «Eccomi, manda me» (Isaia 6,8).

A questo versetto faran­no eco le parole di B.-P.:

“Per me nella vita, sono le dieci di sera. Sarà presto l’ora di an­dare a dormire. Per te sono le undici del mattino. Hai ancora dinanzi a te la mag­gior parte della giornata. Per me ho avuto una giornata molto gradevole. Ha avuto le sue nubi e i suoi acquazzo­ni, ma anche i suoi momen­ti di sole splendido. Ma cosa intendi fare, tu, della tua giornata? Potrà essere altret­tanto felice, se solo tu lo vor­rai. Ma non lo sarà, se ti met­terai a perdere tempo aspet­tando che qualcosa succeda o a sprecare una parte dor­mendo. Svegliati! Datti da fa­re! Hai soltanto una giornata di vita da vivere, perciò utilizzane al meglio ogni istante. Quando verrà il tempo di andare a letto, tu dormirai tanto meglio, quanto più sarai stato attivo durante la tua giornata: mentre chi ha oziato durante il giorno ha notti insonni e inquiete. La felicità è tua, purché tu guidi bene la tua canoa. Con tutto il cuore ti auguro buona fortuna e ti rivolgo l’augurio scout di un buon campo!” (B.-P.)

 

   Scritto di Padre Stefano dell'Abbazia di Sant'Antimo pubblicato in "Proposta Educativa", rivista dei capi AGESCI, n. 1, Febbraio 1998.

  Il titolo originale era: "Il dono di essere educatore - Il capo deve saper morire"

Le fotografie a colori sono tratte dal libretto "Le comunità capi in cammino per educare nel nuovo millennio", ed. Nuova Fiordaliso

 

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