LA VERSIONE INGLESE DEL RACCONTO...
Una fibbia scout
Qui sotto, il collegamento alla versione italiana del racconto sulla "Fibbia scout"
La vicenda della "Fibbia Scout" è comunemente conosciuta nella versione di "parte italiana" (quella trascritta anche nel libro "Fuoco di Bivacco", di don Annunzio Gandolfi, che si può leggere collegandosi anche da qui...).... Ma, come potete leggere, anche gli inglesi hanno raccontato una storia molto simile...., forse la stessa!
di
Piero Antonacci
Quando
facemmo la Promessa, i nostri capi inglesi, Capitano Willy e tenente George,
salutarono per la prima volta la bandiera italiana.
Chiedemmo
loro perchè prima non lo avessero mai fatto, e i due risposero che, a seguito
della nostra Promessa, noi eravamo entrati a far parte della grande famiglia
degli esploratori: il loro saluto era stato uno spontaneo omaggio alla bandiera
dei nuovi fratelli, e col saluto era dovuto il rispetto per tutto ciò che ci
fosse caro. Ciò per quella fraternità che implica una completa e concreta
solidarietà che si crea tra scout e che non conosce limiti di razza, di spazio
e di tempo.
Come
era solito fare, il Capitano Willy trasse subito spunto dall’episodio per
farci comprendere la lezione e ci raccontò la storia della fibbia.
Nel
corso della guerra, in Libia gli scontri tra soldati inglesi e italiani erano
purtroppo continui. I morti e i feriti restavano sul terreno, e di notte
uscivano infermieri per portare aiuto a chi era ancora in vita.
Uscivano
dalle proprie linee anche pattuglie armate per osservare da vicino le linee e
postazioni nemiche ed accertare eventuali mutamenti di posizione.
Una
notte, una pattuglia inglese in uscita fu attratta da sommessi lamenti che
provenivano da un avvallamento del terreno. La pattuglia si avvicinò: gli
uomini avevano le armi spianate perchè ci si andava avvicinando alle linee
italiane ed era una luminosa notte di luna piena.
Quando
giunse sul posto, la pattuglia scorse un ufficiale italiano moribonda steso a
terra e, accanto a lui un soldato inglese che lo assisteva amorevolmente. Al di
là dei due, dalla parte opposta si udivano dei sommessi rumori. Gli inglesi si
buttarono a terra pronti a sparare ed avevano la netta sensazione che
dall’altra parte, molto vicino, ci fossero soldati italiani acquattati sul
terreno. Ma non fu sparato un solo colpo e gli inglesi non seppero mai se
veramente di fronte a loro vi fossero gli italiani.
Intanto,
l’infermiere inglese continuava ad assistere il moribondo. Questi gli fece
segno di volersi sollevare e poi lentamente si sfilò la cinta e gliela diede.
Poco dopo l’italiano morì. L’inglese gli chiuse gli occhi e, carezzandolo
sulla fronte, ritornò verso le proprie linee, seguito dalla pattuglia armata.
Al
rientro, gli uomini della pattuglia chiesero all’infermiere cosa gli aveva
dato il moribondo, e perchè egli aveva corso il rischio di farsi ammazzare per
assisterlo.
L’infermiere
mostrò la cinta ricevuta che aveva una fibbia scout e disse: “That italian
was my brother, he was a scout as i am” (quell’italiano era mio
fratello, era uno scout come me).
Eravamo
ragazzi e rimanemmo piuttosto colpiti da questa storia, tanto che Salvatore, non
appena potè farlo, scambiò la sua fibbia di scout italiano con quella di un
greco che incontrammo in un campo del Gargano.
In
seguito, man mano che gli anni passavano, ci dicevano che in quella storia vi
era troppa retorica, e che sembrava proprio creata apposta per evidenziare la
fraternità scout.
Tanto
più che all’epoca del fascismo non era probabile che un ufficiale italiano
portasse una fibbia scout.
Ma,
anche con questi dubbi, Salvatore continuò sempre a usare la sua fibbia greca,
simbolo della fraternità internazionale scout. Tanti anni dopo, in un Seminario
di Animazione, mi stupii quando Ernesto Marcatelli di Roma mi raccontò una
storia simile e, poi, stranamente ritrovai il racconto in un libro di
don
Annunzio Gandolfi (“Fuoco di bivacco”), che lo narra come
visto e vissuto non dalla parte degli inglesi, ma da quella degli italiani.
Quando
ne parlai a Salvatore egli trovò nel racconto di don Annunzio la conferma della
storia del capitano Willy: “dunque il capitano non diceva fesserie! Quella
notte — diceva — attorno al moribondo e all’infermiere vi erano veramente
soldati nemici. Perchè non fu sparato un colpo? Non lo sapremo mai: Fu
il rispetto per la morte incombente, o forse il comportamento dell’infermiere
inglese, in ginocchio accanto al morente, a bloccare le dita dei soldati sui
grilletti delle armi”.
A
questo punto, il racconto non è solo una storia di fraternità e di umana
solidarietà, ma mostra anche come le azioni nobili e buone possano essere
compiute pure nei momenti più duri e difficili, perfino quando imperversa la
furia omicida, e destano sempre un ammirato stupore.
E
se poi si tratta di una fibbia inventata, di un mito o di una leggenda, bisogna
riconoscere che è proprio una
bella fibbia.
Il
mito è sempre espressione fantastica di un valore tanto sentito da voler essere
rappresentato
concretamente nella sua veste migliore.
Se
la storia della fibbia è un mito, la fraternità scout è realtà
insopprimibile.
il
racconto è stato scritto da Piero Antonacci
in "La nostra strada", periodico della Comunità MASCI "Daunia"
di San Severo (FG), Marzo 1993.
Qui sotto, il collegamento alla versione italiana del racconto sulla "Fibbia scout"
Un sentito ringraziamento a Ernesto Marcatelli per averci procurato il testo del racconto scritto da Piero Antonacci.