Il testo qui riproposto non è recentissimo, eppure le riflessioni e le provocazioni sono ancora di "drammatica" attualità...
Zeb crede utile offrire qui l'analisi di Lele Ross, per una riflessione, una "verifica" (e una "reazione"?) limitata non solo a "casa" Agesci ma che, in qualche misura, può coinvolgere probabilmente anche le altre Associazioni Scout italiane...
LA PROPOSTA SCOUT
Un contributo alla discussione
di Lele Rossi
Mi è stato chiesto di riflettere su alcuni aspetti problematici della proposta scout (ma forse sarebbe meglio dire dello stile scout) nel momento attuale: vorrei offrirveli come punti appena accennati, per suscitare ulteriori riflessioni e per ricercare insieme soluzioni.
1.Una domanda ricorrente, nello scoutismo che l'Agesci è venuta proponendo in questi ultimi anni, riguarda proprio il "tipo" di scoutismo, e quindi di "prodotto finito" che essa mira a realizzare.
Due sono i modelli cui si è soliti fare riferimento: un modello di tipo anglosassone, tendente a proporre uno scoutismo "per tutti", in cui tutti si possono ritrovare e che da tutti possa essere condiviso, finalizzato non a formare personalità particolari, quanto piuttosto a permettere a ciascuno di fare qualche passo, piccolo o grande, nella propria formazione di persona.
Potremmo dire, usando un'espressione un può cattiva ma efficace, uno scoutismo da "scuola d'obbligo", che mi pare renda bene l'idea.
Sull'altro versante, sta invece il modello che comunemente viene riferito all'esperienza franco-belga (il cui riferimento ideale è infatti padre Forestier o.p., ma di cui potremmo vedere tracce assai importanti anche nell'attuale testimonianza di Michel Menu), tendente alla formazione di personalità forti, significative, in grado di inserirsi nella società in modo attivo e propositivo:
dei leaders insomma, capaci con la propria testimonianza di far lievitare il contesto in cui si inseriscono.
Ciò presuppone, com'è evidente, uno scoutismo di tipo selettivo, aperto a tutti ma operante delle forti selezioni, nella convinzione che questo sia il vero apporto che è richiesto allo scoutismo.
Evidentemente, inserirsi in uno o nell'altro di tali modelli implica delle scelte assai diverse, a partire dal contesto in cui operare, al tipo di formazione dei capi, alle modalità in cui vivere la proposta metodologica e così via.
La mia impressione è che, nell'attuale vita della nostra Associazione, queste due anime in qualche modo convivano (ma con distinzioni da Gruppo a Gruppo e da città a città), sebbene a me pare che la tendenza vada ormai nel senso dello scoutismo del primo tipo.
2. Da una recente indagine sociologica che abbiamo svolto nella Diocesi cui appartengo (quella di Livorno), è emersa con chiarissima (e drammatica) evidenza la tendenza dei giovani ad essere "fotocopia" di altri (ed in particolare dei genitori), sulla base di una sostanziale e generalizzata accettazione dei modelli e degli stili di comportamento proposti.
Se così è, non mi pare che di tutto questo siano imputabili molte colpe alla famiglia (da che mondo è mondo i genitori cercano – chi più chi meno -di formare i propri figli omogeneamente a se stessi), quanto piuttosto alle agenzie educative esterne, che in questo dovrebbero rappresentare un'alternativa positiva (o meglio, un'integrazione positiva) alla proposta familiare.
La mia impressione è che tali agenzie educative siano invece oggi impegnate a ricercare consenso nei giovani, garantendo loro ulteriori spazi di sicurezza, anziché provocarli a risposte e scelte alternative.
Se è vero che i giovani oggi appaiono "sazi" di ciò che hanno, compito degli educatori non è quello di aumentare il livello di sazietà (aggiungendo cosa a cosa), bensì quello di provocare la fame, perché attraverso di essa emerga l'esigenza di risposte più soddisfacenti e più appaganti (si rilegga, sotto questa visuale, il passo di Luca:
"Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.")
Tra le agenzie educative, lo scoutismo si è sempre in qualche modo vantato di essere espressione "di frontiera": adesso pertanto dovrebbero richiedersi proposte significative in questa direzione.
La mia impressione è che anche in questo campo, invece, anche noi abbiamo teso all'omogeneizzazione, alla ricerca del consenso, misurando la nostra forza con il peso dei numeri degli associati o delle unità: abbiamo così realizzato uno scoutismo sì di massa ma perfettamente integrato, in nulla alternativo rispetto ai modelli sociali ed ecclesiali che vediamo e riconosciamo prevalenti.
3. E' chiaro che tutto ciò ha immediate conseguenze sulla proposta educativa scout complessivamente considerata, e quindi anche sul modo con cui il metodo viene utilizzato.
Secondo l'idea di B.-P. lo scouting aveva valore in quanto abituava la persona ad affrontare il sacrificio: per questo la vita all'aperto era centrale nella sua proposta, e per questo essa andava vissuta in modo pieno, forte, integrale (non quindi per formare "Rambo" capaci di vivere avventure esaltanti e poi tornare appagati e quindi perfettamente integrati).
Viceversa, vivere lo scouting in modo annacquato (perché altrimenti i ragazzi non vengono, perché non tutti sono adatti, perché i capi non ne hanno le capacità, ecc...) porta ad annacquare tutta l'intera proposta, e di conseguenza a far perdere allo scoutismo la capacità di formare persone significative, forti, capaci di remare controcorrente quando ce n'è bisogno, e anche quando la corrente è forte. Nello stesso tempo, perché lo scoutismo aiuti a formare uomini e donne che con la Partenza entrano significativamente nella società, occorre che la proposta che noi facciamo aiuti la persona in quella vita già durante l'iter formativo, non in modo edulcorato bensì in modo vivo, reale.
In questo senso, lo scoutismo è sì "parabola della vita": ma occorre che quella parabola sia in primo luogo effettivamente comprensibile (per ciò che essa significa), e in secondo luogo si eviti il rischio di innamorarsi della parabola (e cioè del metodo) perdendo di vista l'obiettivo reale per cui questa parabola è stata creata.
Non so se queste considerazioni possano aiutare l'ulteriore sviluppo della riflessione: quel che mi auguro, è che possano contribuire a fare dello scoutismo della nostra regione, da sempre particolarmente attento alla qualità, un punto di riferimento per la società e la Chiesa che guardano avanti.
Lele Rossi , in
Agesci
- Comitato Regionale Toscano
"Verso nuove frontiere"
atti del progetto regionale 1992/95