Alcuni brani tratti da lettere del Venerabile
Egidio Bullesi
(Bullesich)
1905 - 1929
Apostolo tra i ragazzi di Azione Cattolica, Scout, e della San Vincenzo.
giovane laico del Terz'Ordine francescano.
Per “fare memoria”, ascoltiamo le parole che Egidio rivolge anche ai giovani di oggi, ai capi scout e agli educatori…
Egidio
l’11 novembre 1925 scrive questa lettera al consigliere spirituale don Santin
(futuro Vescovo di Fiume e poi Vescovo di Trieste e Capodistria), con l’invito
a condividerla con l’amico Amedeo, il quale si occupava allora - pur non
sentendosi all’altezza dell’incarico - del gruppo giovanile degli Aspiranti.
“Povero
Amedeo, a riguardo degli Aspiranti!
Comprendo
come una cosa è parlarne e scrivere da lontano, e un’altra è vivere insieme
tutte le difficoltà con tutte le debolezze nostre.
In
ogni modo, speriamo bene, io prego sempre per quelli che s’occupano
dell’educazione cristiana dei ragazzi e per i ragazzi stessi”
Egidio
Bullesi, nella lettera del 16 luglio 1926 all’amico Amedeo, parla
dell’apostolato e di come lui agisce tra gli amici sulla nave militare “Dante
Alighieri” (commilitoni con i quali aveva formato una sorta di club,
trasformatosi poi in un vero e proprio circolo cattolico che avevano battezzato “attività
serali frigorifere”, perché si riunivano nei locali dei frigoriferi della
nave da guerra).
“Sapessi
Amedeo, come il vero apostolato non ammette tregua, né periodi
d’indifferenza; ma vuole ad ogni costo, cercando e studiando le più svariate
forme, i modi più straordinari in fatto di affettuosità, di condiscendenza e
d’amore per ottenere spesse volte ostinate ripulse, avversioni e giudizi
spregiativi!
Ma
infine, ci sono le belle vittorie che il Signore concede a chi persevera senza
debolezze. Veri miracoli queste vittorie, impossibili a spiegarsi per noi uomini
che non con la fede, la vera, la ferma e forte fede.
Ma
quante fatiche, ho detto, e quanto da fare!… Siano confidenze, queste, fatte a
te, Amedeo, che in te solo rimarranno, segno di amicizia santa, perché sappilo,
il tempo mio mi è scarso e tutte le ore libere dal servizio [sulla nave
militare] sono con ‘essi’, con l’uno o con l’altro dei diversi amici
e nelle ore più remote sono con i preferiti, con i più intimi.
E
quante volte, dopo salutati tutti, io mi intrattengo ancora con qualcuno, e
questi è Gesù, al quale chiedo tutto ciò che vedo necessario per l’anima e
per l’avvenire di questi miei veri amici”
Egidio
Bullesi, nella lettera del 27 luglio 1926 al suo consigliere spirituale, don
Antonio Santin, scrive:
“Caro
don Antonio, preghi tanto per me, perché sempre più mi convinco,
dall’esperienza che faccio, che noi tanto possiamo, tanto otteniamo dal
Signore, quando preghiamo.
L’apostolato
è un termometro che scende e sale in rapporto a quanto si prega. E ben lo vedo
certe volte, che con le ragioni più stringenti non riesco a persuadere, ed
invece con una preghiera confidente, viva, all’indomani è ottenuto.
Oh,
come è bella la dottrina cristiana, com’è bella la fede, don Antonio, com’è
bello l’apostolato che ci porta a dare generosamente, a imitazione di Gesù,
quello che in copia noi abbiamo ricevuto,
L’apostolato è davvero l’esplicazione più bella di un’anima cristiana, l’attività più degna dei figli di Dio”.
Egidio Bullesi, nella lettera da Gaeta del 16 febbraio 1927, al consigliere spirituale don Antonio Santin, scrive parole utili ad una riflessione spirituale per ogni educatore cristiano (… e capo scout!).
“Il
mio amore per i misteri divini aumenta sempre più, sento un pieno nell’anima
mia, nel mio cuore, che spesso mi sembra trabocchi; mi viene a volte di dover
lasciare il lavoro ed andare in cerca di chicchessia per scambiare qualche buona
parola, e non trovando nessuno, di dover pregare e ringraziare il Signore.
Oh,
com’è buono Iddio!
Sento che è necessario infiammare i giovani ed avviarli all’apostolato per mezzo della preghiera e dell’Eucaristia: vorrei che un turbine trascinasse tutti i giovani per questa strada: tanti sono i mali da rimediare, tanti i difetti da correggere, tante le anime da salvare.
Poveri
giovani, quanti non conoscono questa bella, grande fede, quanti non provano
questi divini sublimi amori: quanti non amano Gesù e, al contrario, tuffandosi
nel fango delle passioni e dei piaceri, ne provano le troppe amare delusioni,
riportando tante gravissime, forse inguaribili ferite.
Che
più fare per questi giovani? Come trovare per loro un rimedio? Se sono sordi ad
ogni preghiera, se rifiutano ogni invito? Ecco
il problema che un giovane non preparato alla scuola della preghiera e
dell’Eucaristia non sa risolvere, e forse, deluso e scoraggiato anche lui, si
lascia portare a più facili opere ed abbandona questa grande e tanto necessaria
opera di redenzione.
Qui
è necessario amore, ma grande, ma forte amore, che trasformi il nostro cuore
secondo il cuore di Gesù, qui è necessaria la preghiera, ma preghiera
fervente, devota e confidente che strappi le grazie al Signore; e poi è
necessaria l’Eucaristia: l’unione col corpo di N.S. Gesù Cristo; divenire
un sol corpo, un’anima sola con lui, il Maestro, il Cristo, l’Onnipotente.
Ed
allora cosa è impossibile? Nulla!
Questo
è l’apostolato delle cose difficili: unirsi a Dio, invocarlo e dirgli: “noi
siamo incapaci, fai tu”.
Ma
vi è un altro apostolato dove il Signore vuole l’azione nostra.
È
l’apostolato della formazione dei ragazzi che richiede tutta la nostra buona
volontà, tutto il nostro spirito di abnegazione e di sacrificio.
Si
tratta di nascondersi alla vista degli altri, essere sconosciuti o, meglio
ancora, trascurati ed avere per compagno Gesù.
Si
tratta far conoscere Gesù ai fanciulli, di formare i giovani cuori all’amore
divino, d’istruire quelle giovani menti nella religione, d’avviarli alla
vera vita cristiana, di formare veri apostoli.
Si
tratta di condurli per mano sulla via del Paradiso.
Per
tutti questi bisogna scuotersi, chiedere la grazia al Signore per divenire più
conforme alla sua volontà.
Occorre
spesso chiederci seriamente se si fa abbastanza, se il Signore è contento di
noi, oppure vuole di più: più Eucaristia, più Apostolato, più uniti a Lui
solo.
Rileggendo
ora quello che ho scritto, quasi quasi non vedo lo scopo d’inviarle questa
lettera.
Perché
nello scrivere commetto sempre il medesimo errore, cioè quello di portare acqua
al mare; ma mi creda, non è per questo che le scrivo, quanto per rendere
consapevole di questi miei sentimenti Lei, ministro di Dio, perciò segno della
mia massima stima e confidenza.
Quasi
per rinforzarmi e sempre progredire in queste mie convinzioni e assecondare
sempre più la grazia che mi dà il Signore; confidandomi a Lei, la faccio
testimone e garante dell’anima mia, pregandola di consigliarmi meglio se
sbaglio, di richiamarmi se transigo, o di rimproverarmi se dovessi un giorno
essere infedele a queste mie attestazioni, ed anche indirizzarmi sempre più in
alto”.