Da
circa un mese Alessandro non partecipa più alle attività
di Noviziato. Per la verità qualche mese fa aveva mollato anche Franco, ma nel
suo caso la situazione era più “consueta”, o forse più prevedibile fin dal
Campo di Reparto della scorsa estate.
Alessandro
ha iniziato a lavorare nella Sala Giochi di sua zia, il sabato e la domenica
pomeriggio e sera; fa un po’ il buttafuori, un po’ il barista, un po’ sta
alla cassa: per una cintura nera di judo l’idea di poter fare un po’ il
gradasso con i ragazzini è allettante…
Ma
c’è di più. Già Alessandro mi aveva detto di non poter partecipare alla
prossima route estiva, sebbene non ne fosse ancora stata decisa la data: finita
la scuola, infatti, andrà a lavorare in fabbrica, una zincheria, e fino alla
ripresa delle lezioni si farà non meno di 50 ore settimanali come operaio. Si
salvano – è vero – 15 giorni ad agosto, nei quali la ditta resta chiusa,
però con quale coraggio “sprecarli” con gli scouts?
Fino
a qui sembra più un ritratto da Libro Cuore che una descrizione della
gioventù del fiorente nord-est d’Italia: in quante occasioni ed in
quante zone si deve riuscire a proporre un’attività che “salvi” anche
quei ragazzi che devono contribuire al bilancio familiare, che sanno di non
poter chiedere (senza costar sacrifici) i soldi per una pizza o per delle scarpe
che non siano Canguro? La sfida educativa in questi casi è proprio quella di
fornire ai ragazzi un’alternativa a tutto questo, un ambiente dove non vengano
emarginati e dove possano continuare ad essere ragazzi…
Ma
Alessandro non ha alcun problema di questo tipo, Alessandro ha due genitori che
lavorano duramente ma che non gli fanno mancare ciò di cui ha bisogno e neanche
ciò di cui non ha bisogno. Ricchi no; benestanti, alla grande.
Il
problema allora qual è? Il problema è che a Pieve di Soligo il tempo è
denaro. Bella scoperta… Franklin l’ha detto più di cent’anni fa! Sì, ma
a Pieve di Soligo, ora, per Alessandro il tempo è denaro. Ale è convinto (e
non è il solo) che il tempo non utilizzato per cose “importanti” sia
sprecato. E le cose importanti sono la scuola (perché ci darà un buon lavoro),
il lavoro, il judo (perché Ale ha cominciato da piccolo, oramai fa gare in giro
per l’Italia…). Lo Scautismo non è una cosa importante: come le altre
attività, si può fare finché non si trova nulla di più… redditizio.
Alessandro
ha 16 anni.
Dalle
nostre parti non s’è mai sentito nessuno prendersi del “mona”, o del
cretino, perché lavora troppo; perché magari fa 11 ore al giorno, 6 ore al
sabato (se non c’è bisogno…) e qualche oretta alla domenica. Succede semmai
il contrario: fino alle 40 ore son capaci tutti… è dalla 41a che
si vede chi veramente ha “voglia di fare” e chi è uno scansafatiche. Poi,
come dice l’attore Marco Paolini, il “nero” accende la fantasia… e
allora scatta quel meccanismo per il quale la felicità dell’individuo (o di
intere famiglie) si misura sulla lunghezza della macchina, o sui metri quadri di
villetta in periferia, o ancora dal numero di televisioni…
E’
l’etica del lavoro a tutti i costi, quella del: “Guadagno e metto via”,
senza una motivazione o una meta da raggiungere.
Ed
è l’etica di cui sono impregnati i nostri ragazzi, che crescono fin da
piccoli sapendo che il tempo per giocare, per fare una pedalata con gli amici,
per leggere un libro o per fare due chiacchiere è tempo perso,
irrimediabilmente.
Così
abbiamo nelle Unità Esploratori o Guide che stentano a trovare il tempo per
incontrarsi a fare la riunione di Squadriglia: 2 pomeriggi pianoforte, 2
pallavolo, 1 catechismo prima e judo poi… Molti genitori che lavorano anche il
sabato hanno trovato nel Gruppo Scout un sicuro rifugio per i Sabati dei loro
figli, sempre che non ci siano uscite con la pioggia o con la neve… e se per
entrare nel Club è necessaria una divisa, uno zaino, una gavetta, un sacco a
pelo, un materassino ed un paio di scarponi, beh… si stacca un assegno!
L’importante è non far perdere tempo al figlio, ché non si sa mai dove
potrebbe andare – da solo – il sabato pomeriggio, magari in bicicletta!
L’età
avanza, e i Rovers e le Scolte finalmente possono lavorare nei week-ends, e così
permettersi il telefonino (praticamente un “must” sopra i 16 anni), uno
scooter ultimo modello ed abbastanza soldi per “non avere problemi”. Il
sabato sera finalmente si può uscire fino a mezzanotte (se non si lavora) e
spendere finalmente un po’ di soldi, sempre che il Capo Clan non “rompa”
con una delle sue solite uscite, magari addirittura a piedi.
L’analisi
(finora un po’ demagogica, lo ammetto) va approfondita: già in Reparto
troveremo ragazzini con problemi di socializzazione, non abituati a gestire il
loro tempo in modo autonomo e del tutto privi di fantasia per inventare qualche
attività o qualche impresa mirabolante, ma sempre in perenne attesa che il Capo
(come il prof., il maestro di pianoforte o l’allenatore) proponga come passare
il pomeriggio. In effetti la loro idea di fondo è quella di ottimizzare il
tempo: inutile perderlo a pensare a cosa fare, quando qualcuno può fornir loro
già un “pacchetto” pronto. I R/S non sono da meno: l’attività non può
durare 2 ore e 5 minuti, perché rischierebbero di arrivare tardi all’impegno
successivo. I ragazzi che si avvicinano alla maggiore età imparano ben presto a
non sprecare un briciolo di tempo, neanche per sé stessi. Hobbies? Ca....e!
Fuori con gli amici? Sì, ma meglio Internet dalla propria stanza… Servizio?
Cooosa!?!
Veniamo
a noi Capi.
Che
cosa testimonia un Capo a nord-est?
Deve
adeguarsi (leggi: appiattirsi) all’andazzo generale, vittima del lavoro e dei
soldi che esso produce (e che non sempre si trasformano in beni fruibili, sempre
che essi diano poi la felicità)?
Deve
fare i salti mortali per riuscire a trovare un paio d’ore alla settimana e
fare il Capo Unità, andare alle assemblee, alle riunioni di staff, di Comunità
Capi, agli eventi formativi zonali, regionali, nazionali… e ridurre il tempo a
disposizione dei ragazzi a spazi tanto esigui da essere risibili, prima ancora
che vagamente costruttivi?
E
che importa che questo modo di vivere sia una scelta (apparentemente) obbligata
dettata dall’ambiente circostante, o sia condiviso nella sua etica fondante?
Non
testimonio forse – nel primo caso – un rassegnato vittimismo, l’esatto
opposto di quello spirito che mi inviterebbe ad essere “sale della terra”?
E
non testimonio forse – nel secondo caso – un’incoerenza di fondo con i
valori dello Scautismo, espressi così bene nei testi di quel generale che a 50
anni suonati, al culmine del cursus
honorum nell’esercito britannico, cominciò ad interessarsi con gratuità
ai giovani?
No,
così non va. Il Capo deve saper andare contro corrente, deve saper riconoscere
ed affrontare – lui per primo – gli scogli che incontra nella sua vita,
aggirarli, conoscere abbastanza bene la sua meta da non lasciarsi scoraggiare se
in un certo punto non la scorgerà più… E con queste basi proporsi ai suoi
ragazzi, sicuro della necessità – anche a nord-est – di una vita dedicata
al servizio, per lasciare il mondo un po’ migliore, per realizzare il Regno di
Dio sulla terra.
Si
ribatterà: non sono forse il lavoro e lo sviluppo economico l’unico
passaporto per una società migliore? Non è solo con una nuova autostrada che
si elimina il traffico, non
è solo con la creazione di nuove aree industriali che si favorisce lo sviluppo?
La
risposta è facile: no. Non è così che si realizza la nostra vocazione ad
essere dei “buoni cittadini” e soprattutto dei “buoni cristiani”, non è
così che si testimonia il nostro impegno alla realizzazione di una società
migliore, del Regno.
Eppure,
a guardarli bene, i nostri ragazzi vedono
ancora i bisonti in Kensington Park, vedono ancora l’avventura riflessa in una
pozzanghera e sentono ancora il bisogno di evadere, di giocare, di essere liberi
e protagonisti. Sono ancora disposti a spaccare la legna per poi restare
attorno
ad un fuoco in una notte con la luna, o a
piegarsi in due per la fatica di raggiungere una forcella e da lì gustarsi il
tramonto.
Forse
siamo noi che dovremmo ricominciare a sognare… forse è proprio vero che se
non ritorneremo come bambini non entreremo mai…
25 marzo 1999
Grillo Parlante