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Imparavamo giovanissimi 

ad essere uomini

di Piero Lucisano

(da "Proposta Educativa" - rivista dei capi AGESCI - giugno 1983, pp. 33-34)

 

I ragazzi del mio popoli imparavano giovanissimi ad essere uomini, e nessuno ce lo insegnava; 

imparavamo semplicemente imitando quello che vedevamo e diventavamo guerrieri ad un età in cui adesso i ragazzi sono come le ragazze.

Alce Nero Stregone dei Sioux Oglala

 

Il campo scout non è solo un’esperienza forte, a contatto con la natura, un’esperienza di lavoro, di autonomia, di più e soprattutto è l’esperienza di vita di una grande tradizione, di vita in una tribù libera.

Ci vogliono molte notti di tenda per diventare un vero scout, per riuscire a vedere e a sentire, là dove quelli che abitano nel cemento non vedono e non sentono. 

Solo dopo trenta notti di tenda si ha il diritto a bruciare nel fuoco il proprio nome, per poter portare il totem, il nome che ti permette di vivere nella leggenda.

Così io, ti racconterò la storia di una grande avventura, come tu desideri. 

Se fosse soltanto la storia della mia vita non la racconterei, perché che cosa è un capo per dare importanza alle sue notti passate sotto le stelle, anche quando queste sono così numerose da prendere anni interi della sua vita.

Tanti altri giovani diventeranno capi e si giocheranno fino in fondo nella stessa storia per diventare erba sui colli.

 

Il piede tenero si addormenta per ultimo e si sveglia per primo

 

Quando ero bambino, non avevo mai dormito una sola notte sotto la luna, vivevo in un appartamento e giocavo con i miei fratelli, stavo con i grandi solo alla domenica, quando i grandi fanno le cose dei piccoli.

Ci fu un periodo in cui avevo una cantina in cui ci riunivamo e un grande prato per correre, lottare, cacciare le lucertole. 

Poi l’amministratore disse che la gente del palazzo non voleva che giocassimo nelle cantine. 

Ci furono molte discussioni, ma alla fine ci venne tolta la chiave. Poi vennero gli operai che erano mandati dal costruttore ed iniziarono a recintare il grande prato con steccati e lamiere. 

All’inizio per noi era un gioco; andavamo a rubare legname nel cantiere ad esplorare i lavori, poi divenne pericoloso, misero un cane.

Fummo costretti a giocare dentro le case, non potevamo chiamare tutta la banda perché erano troppi, si giocava a Monopoli; a carte. 

Non si poteva fare la lotta e i più piccoli quando provavano si facevano male, così non lo facevano più.

Un mio amico mi parlò un giorno degli scout, avevo 12 anni quando mi portò in sede per la prima volta. 

Non ci furono molte chiacchiere. Stavano costruendo le panche e verniciando la sede. 

Sarai con i Castori mi dissero. Così conobbi Enrico il mio vice caposquadriglia; mi mostrò la base, c’era un cuscinetto a sfera vinto come premio in una gara di cucina. “Nell’alfabeto morse la A è punto-linea e la N è il contrario è facile da imparare”.

 

Avevamo viaggiato per due giorni

 

Quando raggiungemmo il posto che era stato scelto, i capisquadriglia andarono in esplorazione a scegliere il posto per la tenda.

Noi studiavamo ogni gesto, era insieme una specie di caccia e di gara alla ricerca del posto migliore. 

Scalciare il terreno per vedere se ci sono grosse pietre, controllare la pendenza, cercare l’ombra per il mezzogiorno ed il sole per la mattina, poi ad un tratto veniva piantato il guidone. 

Era deciso: quello era il territorio dei Castori. 

Allora potevamo portare gli zaini e le casse del materiale e montare la tenda. 

Quando erano stati scavati i canaletti ci assegnavano i posti. Il capo ed il vice dormivano all’esterno dove è più freddo.

Quando la luna cominciava a fare luce il campo era già montato, allora il capo ed il sacerdote ci chiamarono in cerchio. 

Il capo ci disse che eravamo stati in gamba, ma che ci attendevano giorni di dure avventure. Insieme al sacerdote ringraziammo il Signore per quella valle, per essere finalmente veramente insieme, per la fatica.

Alla sera fu acceso il fuoco, non ci si doveva avvicinare fino alla chiamata così noi giocavamo in torno, allontanandoci ogni volta che un capo si girava. 

Poi veniva intonata una vecchia canzone e tutti danzavano intorno alle fiamme che si alzavano. 

Era il caposquadriglia più anziano a portare la legna sul fuoco, tutti la avevano raccolta sul bosco al buio tra le spine e le prime ombre di cui nessuno aveva paura ad alta voce.

Non tutti conoscevano i canti del fuoco, solo i più grandi cantavano sempre e chiedevano questo o quel canto. 

Si raccontavano storie. Dietro, il campo si animava di ombre, c’erano tutti i vecchi scout del gruppo e le loro gesta venivano raccontate fino a notte.

Poi il fuoco cala, il freddo della notte ti sale sulla schiena, e poi è difficile restare così a gambe incrociate per tanto tempo, i più giovani. 

Prima che il fuoco si spenga canteremo insieme un canto che è molto caro a tutti i capisquadriglia. Sembra che fossimo intonati.

Il vice ci guidò alla tenda mentre i capisquadriglia restavano al fuoco per preparare i piani per le attività del giorno dopo. 

I piedi teneri sono gli ultimi a addormentarsi ed i primi a svegliarsi disse Enrico che entrato nel sacco a pelo si addormentò subito.

Quando più tardi il caposquadriglia tornò, nessuno disse nulla; lo guardavamo chiudere meticolosamente la tenda. 

Fu la notte più lunga della mia vita.

 

Chi non lavora non mangia

 

Nelle case ai ragazzi si chiede solo di mettersi a tavola per mangiare e Giacomo pensava che anche da noi tutto gli fosse dovuto.

Avevamo già avuto molta pazienza con lui. 

Io che allora ero caposquadriglia avevo sempre cercato di portarlo con me, insegnarli le legature, fare legna, prendere l’acqua al torrente. 

Lui non imparava nulla, gli avevano tolto la voglia di giocare. 

Coi giorni però la pazienza dei ragazzi cominciò a consumarsi. Giacomo con solo non teneva fede ai suoi impegni ma derideva gli altri che lavoravano per lui. 

Questo era contro la legge.

Ci fu un consiglio di squadriglia, poi ne parlammo col capo, fu un lungo discorso. 

Fu detto a Giacomo che lui aveva accettato liberamente le regole del nostro reparto e che ora se voleva mangiare come tutti gli altri avrebbe dovuto fare qualcosa per guadagnarselo. 

Lui non ci credeva al principio, poi cercò qualcosa nelle altre squadriglie. 

Ci eravamo tutti impegnati a non prenderlo in giro, ma né Tigri, né Aquile, né Pantere vollero dargli da mangiare. 

Era orgoglioso e resistette quasi due giorni. 

Poi gli chiesi di accompagnarmi a raccogliere la legna. 

Un po’ lo trascinai ma poi venne da solo. Aveva capito che da noi si faceva sul serio.

 

La magia della notte

 

Michele e Federico erano entrambi delle Aquile, non andavano proprio d’accordo, si contraddicevano sempre, all’inizio sembrava sempre un gioco, ma poi finirono per accapigliarsi ed eravamo tutti a disagio perché la Legge prevede che si sia come fratelli. 

Ma come si può far rispettare la Legge? 

Non potevamo usare calcioni come ci avevano raccontato, [...] e la gente faceva le cose per paura. Avevano detto i capi allora che è inutile che la gente obbedisca alla Legge se non è contenta. 

Ma se la Legge non viene obbedita allora non c’è più unione e non si riescono a fare grandi imprese.

Il consiglio dei capisquadriglia decise di mandare Michele e Federico insieme in missione all’altopiano dell’abbeveratoio, per fare un rilievo topografico e per riflettere.

Fu data loro una carta, la bussola, i poncho, una coperta, poi furono chiamati al consiglio dei capisquadriglia e fu dato loro un solo pane e una sola borraccia. 

La missione è difficile ma voi due insieme siete abbastanza in gamba per farcela, vi mandiamo insieme per mettervi alla prova perché ci fidiamo di voi.

Partirono e tutti li guardavano: era la prima volta che a due ragazzi di 13 anni veniva affidata una missione che era quasi un hike.

Partirono, il capo che seguiva col binocolo la loro strada disse che mano a mano che salivano erano più vicini, poi venne la notte. 

Il giorno dopo, quando già i fuochi del pranzo annerivano i pentoloni, tornarono insieme cantando.

È la magia della notte.

 

Le guide costruiscono la tenda più bella

 

Quando cominciammo a fare attività con le guide [1] c’era un certo scetticismo, solo uno o due dei capisquadriglia che erano innamorati dicevano che era bene ma noi avevamo paura che avremmo dovuto abbassare il tiro. 

Le ragazze sanno poco di tecnica. Quando cominciammo a costruire le tende sopraelevate le Antilopi scelsero un posto distante, così noi non le vedevamo. 

Solo alla sera ci rendemmo conto che avevano costruito la tenda migliore di tutte, ogni legatura era pulita e avevano anche una scala a pioli. 

Alessandra che aveva dei problemi e fino a quel giorno non era riuscita nemmeno ad allacciare le scarpe, aveva imparato a salire la scaletta ed a fare due nodi. Il piano e il paletto.

Quando la sera al fuoco furono premiate eravamo tutti orgogliosi di loro, non l’avrei mai detto che c’era da imparare dalle ragazze.[…] 



[1] L'articolo è stato pubblicato sulla rivista dei capi AGESCI, associazione che prevede la c.d. "coeducazione", vale a dire la possibile compresenza di ragazzi e ragazze nelle stesse unità. Questa considerazione non è comunque incompatibile anche con l'intereducazione, cioè quanto è previsto dalle Guide e Scouts d'Europa (unità separate monosessuali, con metodologie diverse, ma con alcune attività in comune).